RIFIUTO DI AMMETTERE LA POSSIBILITÀ DEL NEMICO-Jerónimo Molina-Vol.-49-   Stampa questo documento dal titolo: . Stampa

IL RIFIUTO DI AMMETTERE LA POSSIBILITÀ DEL NEMICO

   Jerónimo Molina    

INDICE - 1. Situazione storico-politica e "ragione dei fatti": la prospettiva politica. 2. Discussione e discordia nella dimora del nemico. 3. Scomparsa e occultamento dell’inimicizia politica. 4. Due corollari della politica senza un nemico: spoliticizzazione del Governo e dello Stato in Europa.    
Ninguna cosa puede haber peor, ni causa de mayor menosprecio en un Príncipe, que ser descuidado en el conocimiento, favor y disfavor de sus amigos y enemigos. B. Alamos de Barrientos, Aforismi al Tacito spagnolo (1614) 1. Situazione storico-politica e "ragione dei fatti": la prospettiva politica     
L'esperienza della realtà politica è il presupposto della comprensione della politica come una costante della natura umana (essence, regolarità1 o Begriff) e, allo stesso modo, le sue molteplici modalità di modellarsi nella storia (forme politiche). L'"esperienza politica" in quanto tale non è una vasta raccolta di dati (idee politiche o convinzioni di coscienza) né la sequenza di vicende passate (fondamenti politici e istituzioni giuridiche, rivoluzioni e guerre), già definitivamente realizzati e neanche un elemento costitutivo del presente, che presuppone nel semplice decorso del tempo lo svolgimento di alcune categorie seminali inesorabilmente destinate a essere eseguite dai popoli. L'"esperienza politica" è, come è stato detto più volte, il destino temporale o mondano dell'uomo, ma non nel senso meccanico che trascenda dalle filosofie della storia o ideologie in cui queste sono state formulate e diffuse dal XIX secolo. Qualsiasi "esperienza politica" ha comunque (a) un contenuto o ordinazione cronologica degli eventi. Questo è, alla fine, una fonte di successi esemplari: historia magister vitae. Ma l'esperienza di affari politici comprende anche (b) una situazione caratteristica, proprio quella in cui gli uomini di ogni epoca si trovano a vivere, qualcosa di simile a un "profilo proprio e peculiare", e (c) l’ orizzonte, linea che delimita il campo visivo dell'uomo2. Il campione della storiografia tedesca Leopold von Ranke, ha invitato lo storico politico ad essere, 'tutt’occhi': ganz Auge. Dal punto di vista dell'orizzonte politico, che limitando l’esperienza umana la configura e le dà senso, l'affermazione di ocularità della conoscenza storica non è casuale per coloro che hanno creduto di trovare nella storia politica, come quella degli Stati-nazione europei, il contenuto della Grande storia. Ingrediente fondamentale dell'esperienza della realtà politica è il sapere politico; quest'ultimo, in quanto non è una costruzione ideologica di natura accessoria, si presenta sotto forma di pensiero giuridico-politico, poiché "il valore del politico non è altro che decidere in ogni caso ciò che è diritto in quel momento,in quel luogo e per quelle persone e garantire il rigoroso rispetto dello ius certum”3. Il pensiero giuridico e politico ha, come sapere architettonico, una vocazione pratica, nel senso della filosofia pratica. Questo particolare modo di sapere è fondato sui fattori di esperienza politica di ogni particolare epoca, in funzione della sua irripetibile articolazione in un unico momento e unico spazio. Allo stesso tempo, nell'esperienza dell’epoca è presente la caratteristica distorsione del pensiero giuridico-politico, che proietta sulla vita quotidiana (e senza soluzione di continuità), i concetti della convivenza politica e le categorie particolari con le quali un modo del pensiero politico intende signoreggiare la realtà4. In ciò sta la dimensione costituzionale del sapere giuridico e politico. Può dirsi che il pensiero giuridico e politico, nonostante dipenda dalla realtà dalla quale emerge, contribuisce a formarla e renderla intelligibile. Quindi ogni conoscenza politica mette in luce le modalità di organizzazione politica, poiché in esse appare inscritto. Per la forma o organizzazione politica si intende "un concetto concreto in grado di catturare la struttura essenziale di un blocco di realtà storica"5. Dato che questo concetto diviene "l’idea che di se stessa ha una comunità [politica]"6, per questo motivo, acquisisce un senso pieno solamente incapsulato nel sistema delle forme politiche reali. Ci fu un pensiero giuridico e politico della polis greca o urbs romana, come c’ è stato e c’ è della civitas christiana o dello stato moderno (lo Stato)7. A differenza delle forme di governo, il cui numero e combinazioni appaiono limitate prassiologicamente8, le forme politiche non sono predeterminate, dipendono dal genio politico di generazioni e popoli, cioè della loro capacità di mantenere in un certo senso, le potenzialità della socievolezza umana9. Questo dà al pensiero politico e giuridico, secondo i tempi, un pathos o una grandezza uniche. In un piccolo classico politico contemporaneo si dice che "l'uomo è di fatto un animale politico, ma il fattore decisivo non è che lo sia, ma che deve esserlo"10. Non sono casuali, ancor meno automatiche, le forme della politicità umana. La sua grazia dipende dalla risolutezza con la quale viene eseguito l’imperativo politico essenziale: la necessità di essere politico. È il pensiero politico e giuridico a costituire in un certo modo, la forma del progetto o piano al cui completamento si sente chiamata ogni comunità umana, e anche, per quella stessa condizione proiettiva, un importante regolatore delle possibilità che ha la città per rimanere al di sopra del livello del tempo, cioè all’altezza dell’orizzonte storico. A volte, dato l’ampio cambiamento di quest’ultimo,il pensiero politico giuridico si abbandona alla sola dimensione dichiarativa, perdendo di vista la situazione reale, dà per assodato che l'orizzonte è fisso11. Ma poi la fisionomia dell’esperienza svanisce. Alcuni concetti si degradano, altri sono distrutti, sottoposti alla torsione del tempo. Pochi, però, apparentemente trasformati, cambiano, manifestamente: adattati, soffrono la perversione del significato preciso che avevano nel mondo spirituale in cui erano emersi. È il tempo dei dilemmi e controversie sul vivo e il morto di una dottrina. Sono sopravvivenze che confondono le menti poco attente, "idee usate, ma non capite"12. Pertanto, in molti casi, la politica è come una battaglia feroce tra le parole e coloro che le amministrano secondo le regole della retorica. Il pensiero politico e giuridico, come progetto, è qualcosa in più della sua dimensione dichiarativa, ciò che lo caratterizza in realtà è quello che c’è in esso di incipiente e creatore13. Questa è la condizione di ogni sapere giuridico e politico realista. Solo il pensiero politico realistico può dare, secondo la terminologia di Zubiri, la "ragione dei fatti” (razon de acontecer), cioè, una giustificazione di un uso corretto del potere politico14 e della "destinazione [dell’ uso di questi poteri] per un piano complessivo"15. Per questo motivo, l'assimilazione del realismo politico ad un volgare attivismo del potere o alle dottrine della doppia morale, staccata dall’ethos della comunità, non cessa di essere una mistificazione interessata della tradizione politica stabilita da Aristotele, svolta dal pensiero cristiano medievale e rifondata da Machiavelli. Il realismo politico o machiavellismo, termine preferito da Freund16, è sinonimo del punto di vista politico; in esso si realizza, con diversa fortuna, la mediazione che l'intelligenza umana opera tra teoria e azione politica o, in altra prospettiva, tra l’ ontologia e l’ esistenza storica17. Essendo in gioco la corretta gestione del bene comune, niente è più contrario a un sapere politico sano che il neutralismo18, che oggi fa le veci di quello e usurpa la sua missione. Ma il neutralismo non è che il punto di arrivo del processo che ha dissolto il neutralismo caratteristico della forma politica statale e del suo modo di pensare e, al tempo stesso, lo ha depoliticizzato. Oggi sembra che la politica schiava dei mass media e dei sondaggi è una questione di politologi e costituzionalisti, ossia di professori ed esperti. Questo dato, che in origine era una conseguenza del carattere artificioso della macchina dello Stato, ha bisogno di politici, economisti e giuristi, è ritornato oggi in un sintomo di infedeltà dei politici alla loro missione, poiché in termini generali si sono convertiti negli agenti pubblicitari della nuda causa del potere. In realtà, la politica è una questione per i prudenti. Pochi, i politici, devono scoprire il vero rapporto delle forze che operano nel pluriverso politico; altri, i loro consiglieri, non devono lasciarsi sedurre dal mito della politica ottima, perché non c'è forma di governo alla cui realizzazione è destinata la specie umana19. Una conseguenza della neutralità dello Stato-trasformato quest'ultimo, in virtù della sua sottomissione ai partiti-partitocrazia-, in un mero strumento di dominazione sovrapposto alla nazione, è stata la sanzione per il cosiddetto "moderatismo" come dottrina del regime o ufficiale20. Un indizio del carattere anti-politico e anti-realista del neutralismo moderato, pronto a composer sans cesse avec l'urgence21, è l’occultamento del nemico nel discorso politico, presumendo che la sua eclissi semantica scioglierà la sua ostilità. A volte maliziosamente se ne altera lo statuto, presentandola come una figura diversa, come un avversario che accetta il dialogo, ma non è insolito si neghi la sua esistenza. Nella perdita della memoria del nemico si scopre la povertà della politica contemporanea e l'eclissi dell’ intelligenza nonché la schizofrenia della propria identità22. 2. Discussione e discordia in casa del nemico Il riconoscimento del nemico politico, reale o potenziale, e così pure la sua designazione in quanto tale dalla comunità politica oggetto della sua ostilità, palese o subdola o nascosta, è la misura di ogni pensiero politico realista. "Guai a coloro che non sanno chi è il loro nemico!" Non è solo un detto o una frase spesso ripetuta, ma la più amara delle profezie politiche. Da questa esperienza elementare viene dedotto, come un imperativo, alcune regole di prudenza sui contenuti dell'azione politica. Queste hanno un fine tanto diverso, quanto talvolta contraddittorio: con il nemico si spara, si litiga, si polemizza, con esso si negozia l'oggetto della controversia, il nemico lo si combatte nelle sue posizioni, cercando di farlo ritirare, nella sua casa si semina la discordia se conviene ai propri interessi23; infine è possibile confrontarsi apertamente con lui, perché non c'è alternativa, una volta che le ostilità sono dichiarate. Anche se la guerra è la situazione estrema di inimicizia politica, i concorrenti hanno un interesse comune nella neutralizzazione politica del conflitto armato, perché una volta risolte le dispute nel campo di Marte-ultima ratio politica - la politica dovrà nuovamente incanalarsi per le vie regolari, compresa la conclusione di un trattato di pace24 o un’ amnistia, nel caso di una guerra civile25. Quindi, al di là del disaccordo tra amici e nemici, "la politica (vuole in effetti) che l’odio non sia eterno”26, poiché la sua intima vocazione è il fondazione di un ordine. Così, anche se la città "ha la sua origine nell’urgenza di vivere, sussiste per il vivere bene"27. In definitiva, la politica non dovrebbe essere fatta solo con amici e alleati, ma soprattutto con il nemico, perché presenta "l'incarnazione della nostra propria questione." "Stai attento allora", scrive Carl Schmitt in Ex captivitate salus, “non parlare con leggerezza del nemico. Uno si misura sul proprio nemico. Ci si dà un ordine dal momento che si riconosce l’ostilità"28. E la lezione dell’eterna politica29, ripetuta da Kautilya e Tucidide tra gli antichi, da Baltasar Alamos de Barrientos e Diego Saavedra Fajardo tra i moderni, da Carl Schmitt o Raymond Aron tra i contemporanei30. È quanto meno sorprendente che non sia stata coniata prima la "discriminazione tra amici e nemici", quale contenuto dell’azione politica, dal momento che sembra essere la trama della storia31. La conversione di amici in nemici o nemici in alleati, che nella Golden Age del Jus publicum europaeum è stata chiamata renversement des alliances, popola di immagini suggestive le pagine della Storia della guerra del Peloponneso, scritta da Tucidide nel tardo V secolo a.C.32 Abbondano i cambiamenti di posizioni politiche in funzione degli interessi della città, la lotta per l'egemonia e la designazione del nemico attuale. I molti modi di trattare con amici e nemici sono resi esaustivamente ("il cerchio dei re") da Kautilya, un nobile indiano del IV secolo a.C., nella sua Arthasastra33. Più di mille anni più tardi, Baltasar Alamos de Barrientos, nel suo memoriale al re di Spagna, ha cercato di distinguere, con categorie precise, tra neutrali, amici e nemici; questi ultimi possono essere pubblici o segreti34. Per l'acuto Alamos de Barrientos, come per la maggior parte dei pubblicisti barocchi spagnoli, l'azione politica è in primo luogo il riconoscimento di chi sono amici e nemici, in quanto questa è la condizione per la realizzazione del bene comune della comunità. Così ha potuto scrivere che "nulla può essere peggio, o causare più sdegno in un principe, del non conoscere l’approvazione o la disapprovazione dei loro amici o nemici"35. Anche l'ombra del nemico della Spagna, la Francia, pesa molto sul lavoro del diplomatico Saavedra Fajardo, il più grande scrittore politico del regno di Filippo IV e plenipotenziario della monarchia nei negoziati che hanno preceduto la Pace di Westfalia36. Non è casuale citare, a questo punto, due pubblicisti del barocco ispanico, poichè la distinzione tra amici e nemici sembra essere una espressione proverbiale spagnola degli arcana imperii37. Infine, il trattamento di amici e nemici, determinato dalle costellazioni politiche del momento, è il tessuto delle relazioni internazionali in Raymond Aron38. Lo scrittore politico eponimo di questo soggetto è Carl Schmitt, il quale, nel suo notissimo saggio sul concetto di politico, rifiuta "ogni finzione ed astrazione normativa”e dice di attenersi alla “realtà esistenziale" per stabilire "la possibilità effettiva della distinzione” amico-nemico. "Questa opposizione, conclude il giurista di Plettenberg, resta una realtà dei giorni nostri e permane nello stato di virtualità reale per ogni popolo che ha un’esistenza politica"39. Nel suo studio sul criterio di delimitazione concettuale del politico40, tacciato a volte come eccessivamente formalistico41, stima che questo ambito dell’attività umana è caratterizzata dalla capacità di discriminare tra amici e nemici. Questo implica non solo la possibilità di produrre la morte fisica di un uomo, ma il riconoscimento del "grado d’intensità di un’associazione o di una dissociazione di gruppi umani i cui motivi possono essere d’ordine religioso, nazionale (in senso etnico o in senso culturale) economico o altro e determinano sia raggruppamenti come scissioni di tipo diverso"42. Tuttavia, la politica non è solo questa entità circostanziale, in quanto ciò sarebbe ridurre tutta la politica ad una attività combattiva, alla lotta. L'autore stesso mette in guardia contro questa lettura fuorviante, osservando che il "il politico non si risolve nella lotta stessa… ma consiste, come detto, in un comportamento determinato dall’effettiva eventualità di quella"43. Pertanto, il comportamento politico, basato sulla possibilità di combattere o, per dirla in altro modo, sull’ostilità reale (o potenziale) dell’altro, che a dichiararla (o allentarla), diventa un nemico della comunità, non è costituito per lei. Julien Freund lo percepisce chiaramente; il più importante scrittore politico francese della seconda metà del XX secolo, afferma che il punto di vista politico impone la valutazione dell’ inimicizia nella prospettiva della finalità del politico: “l'amitié semble donc avoir la priorité, de sorte que la notion d'inimitié ne reçoit sa pleine signification que parce qu'elle constitue l’obstacle à la réalisation du politique souhaitée de la fin du politique"44. Pertanto, lo scopo della politica non è esattamente la descrizione del nemico, ma il discernimento del bene proprio che tutte le comunità devono proteggere. Contro il nemico, certamente, ma anche contro le ingiurie del tempo e della sorte. Gli uomini che smettono di proteggerlo rovinano la costituzione delle loro città,intendendo per costituzione la patria e il patrimonio che caratterizzano ogni società politica duratura. Secondo Freund, "l’intellectualisme peut démonétiser ces notions, elles retrouvent cependant toute leur vertu dès que le danger extérieur menace ou lorqu'une situation exceptionnelle ébranle la collectivité"45, cioè, sia quando il nemico è presente alle porte della città sia quando in essa si spargono e germinano i semi della discordia. Come dimostra Tucidide, discordie o disordini interiori, tra cui il cambio di regime e dei governi, raramente si verificano a prescindere dalle macchinazioni del nemico46. Il nemico e l'amico sono, d'altro canto, le due facce della stessa medaglia: la figura del particolare, in contrasto con i disegni universalisti. L'inimicizia e l’amicizia, così come si presentano nella storia, non smettono di essere una rappresentazione della "unità di destino nell'Universale"47. A questo punto, dopo aver riconosciuto la legittimità storica della figura del nemico, un’ultima domanda perseguita il giurista o storico politico. Nel Discorso della montagna Cristo ha mostrato la necessità di amare i nostri nemici, Diligite inimicos vestros (Math. 5, 44), allora è veramente cristiano riconoscere il nemico e trattarlo politicamente come tale? Al di là dei dettagli filologici48, certo è che mai la fede cristiana ha invitato a lasciare la politica del bene comune ai disegni dei nemici. "nella lotta millenaria tra cristianesimo ed Islam, non sarebbe venuto in testa a nessun cristiano che era necessario per amore dei Saraceni o dei Turchi, consegnare l’Europa all’Islam invece che difenderla"49. In effetti, l'esortazione evangelica a eliminare l'odio privato affinché nei cuori regni la pace non ha nulla a che fare con la " vile resa al nemico politico [né con un] atteggiamento tolstoiano nei suoi confronti"50. Amare i nemici non è la stessa cosa che dimenticare che al mondo ci sono amici e nemici. Il quale marca, politicamente, un modo diverso di trattare con gli uni e gli altri51. 3. Scomparsa e occultamento dell' inimicizia politica Nonostante le critiche, spesso aspre, che hanno ricevuto sia il criterio del politico schmittiano, che l'opus magnum di Freund, L'essence du politique, senza dubbio per il ruolo che il presupposto nemico-amico occupa nelle sue pagine, la questione non può essere ventilata con una sanzione morale. La contundente affermazione freundeana che recita: "il n'y a de politique que là où il y a un ennemi"52, non significa, o significa molto meno, che la sostanza dell'azione politica è la violenza e la lotta. D'altra parte, l'inimicizia e l'ostilità politica attraverso la quale questa si palesa, hanno una struttura complessa che non si esaurisce nella constatazione della sua (a) dimensione strettamente polemologica53. L'inimicizia politica ha anche altri aspetti, nessuno di essi trascurabile,: così, (b) il sociologico, perché l'inimicizia è una forma di relazione sociale o, secondo la terminologia di Simmel, di socializzazione (Form der Vergesellschaftung) politica, (c) il cratológico, poiché la designazione del nemico caratterizza il tipo di potere, ibrido giuridico e politico, che da Bodin in poi si chiama sovranità, e, infine, (d) l' esistenziale, perché l'ostilità sembra attivare i poteri identitari dei gruppi umani il cui scopo non è principalmente quello delle cose utili, ma di dare corpo a un modo valoroso di essere uomo. Certamente, le persone sensibili attribuiscono al polemologico un'occulta intenzione polemica, accusando coloro che frequentano questo campo delle scienze politiche una vocazione bellicosa, d'altra parte, l'ostilità politica, una delle forme di espressione della violenza fondatrice, è al di là delle ricerche di molti sociologi, la sovranità sembra diventare impotente da quanto molti, per lo più i costituzionalisti, deducono che il potere decisionale può essere distribuito in lotti pacificamente,; infine, un curioso complesso di inferiorità politica davanti a modi di essere estranei, immobilizza nazioni un tempo creatrici. Così stando le cose, la constatazione che il mondo contemporaneo ha aderito ad una pedagogia politica che esclude la possibilità del nemico genera, nel pensiero politico realista, una certa sensazione di disagio. Con la scomparsa del nemico, non solo si eclissa la "serietà della vita" formula letteraria cara a Schmitt che conserva ancora parte del suo senso stupefacente. La comunità che rivendica con successo la mancanza di nemici è impantanata in una crisi profonda di identità. D'altra parte, senza alcun riferimento al nemico, gli stati di guerra o le molte forme di violenza e di conflitto sono semplici episodi patologici, come sostiene la sociologia della pace. Un popolo che non è più in grado di rappresentare la figura del nemico è un popolo depoliticizzato e la leadership politica che lo ha istruito in questa cultura è un'élite perplessa e stupida. Questo è il quadro, "spectacle ridicule et terrible"54, che si offre a ogni contemplazione spassionata. In verità, le ragioni per l'occultamento di ostilità o di resistenza ad accettare persino la possibilità che una comunità estranea possa essere ostile, sono di natura mista. Ma tutte confluiscono nella perdita del senso politico della realtà55. Da questa si sono già distaccate, come se si trattasse di una corteccia morta, le routines intellettuali di altri tempi, le categorie e concetti di percorso secolare che , tuttavia, sono già morti56. La scomparsa del nemico nel discorso politico, o la sua dissimulazione, è uno dei tratti più caratteristici del secondo dopoguerra europeo. Il suo impatto è evidente nel pensiero giuridico e politico, ma anche nella teologia politica cattolica57. In un certo senso, l'invisibilità dell'inimicizia politica per i giuristi è la conclusione logica del processo di statalizzazione dell'azione politica, chiaramente intravisto da Schmitt precisando che, dopo aver neutralizzato il nemico all'interno dello stato, "i giuristi non sanno cosa fare con il concetto di nemico"58. In realtà, lo scrittore tedesco abbondò così nel suo concetto di statalità come forma politica depoliticizzante59. Anche se lo sviluppo della forma politica della modernità ha portato a una nuova razza di consiglieri del principe, i giuristi politici o giuristi dello stato, nel lungo periodo i loro successori, i costituzionalisti, hanno sperimentato la vertiginosa depoliticizzazione della loro mentalità. Si spiega così il loro rifiuto di ogni dittatura costituzionale60, la loro incapacità di pensare a situazioni eccezionali, l'inclinazione patetica, non logica, alla giuridificazione di ogni manifestazione della vita politica, comprese le relazioni internazionali; il divieto ideologico della pena capitale, che sopprime ogni meditazione su di essa, o il malinteso del senso politico del tradimento61. Un certo accomodamento della Chiesa alla moda pacifista62 e una conversione parziale delle sue strutture nel senso della secolarizzazione63, possono spiegare forse l'assenza quasi assoluta del concetto di "nemico pubblico" nella teologia politica cattolica. Indirettamente ha richiamato l'attenzione su questa questione spinosa, più di tre decenni fa , il polemologo Julien Freund. In un breve saggio su "Les obstacles à la paix", esaminò con grande finezza la teologia politica della guerra e della pace incorporata all'insegnamento dei Papi Giovanni XXIII e Paolo VI, con fama di "véritables théoriciens de la paix"64. Anche se non lo diceva espressamente , è concepibile che la sua analisi critica del concetto di pace negli insegnamenti papali, presuppone l’inevitabile presenza costitutiva del nemico nello sviluppo dell'azione politica. E infatti, come confermato in un altro contesto diplomatico, la “expérience suggestive” dello Stato Pontificio, la Chiesa ha un' ineludibile presenza secolare, perché "le pape ne représente pas uniquement une force morale et religieuse, mais également politique"65. La confusione tra la pace evangelica e la politica di pace evangelica66 è per Freund il prodotto del discorso teologico67 sulla pace dei cuori68. Questa deriva della teologia politica cattolica in merito alla distinzione nemico-amico69 ha un impatto sostanziale sul Catechismo della Chiesa cattolica, perché né nei numeri relativi alla comunità umana (1887-1948), né in quelli relativi al Quinto comandamento (2258-2330),che comprendono la dottrina sopra la pace e la guerra, si chiarisce quali, e per quale motivo, sono amici o nemici70. Considerato anche il fatto che il concetto di nemico politico (hostis) è scomparso dal Catechismo, preferendo, in linea con le tendenze internazionali del diritto, il termine "aggressore" (aggressore)71, per quanto usato anche per descrivere i criminali comuni72. Ciononostante, l'ombra del nemico pesa ancora su alcune disposizioni, la più importante delle quali è, senza dubbio, sulla legittima difesa con la forza militare (2309)73. In termini di idee politiche secolarizzate non vi è alcuna giustificazione per l'offensiva del pensiero contro la figura del nemico e tutte le sue rappresentazioni possibili. La maggior parte dei pensatori politici si soffermano sul "partner", l '"avversario", il "concorrente" o anche sul "rivale". È raro che tra di loro non siano state interiorizzate le fantasie untuose della "etica comunicativa" e del "dialogo" sui valori. Spinti da un senso frivolo degli affari pubblici, disprezzano "il compromesso", abbandonando il suo dominio nella "politica interna" (o governance). Tuttavia, lo promuovono in politica estera (o di Stato), poiché facilmente nasconde le titubanze di fronte al nemico. Una delle cause che alimentano il rifiuto ostinato di accettare la possibilità del nemico, è la paura. Il verbalisme dei perfetti idioti politici, è pertanto la formula che nasconde queste paure74. Eppure, nel timore insormontabile almeno si può alleviare la coscienza vergognosa di chi minaccia la propria integrità, mentre la codardia o irresponsabilità del sovrano e il suo entourage impediscono temporaneamente una reazione politica. Il verbalisme spiega gli accordi di Monaco del 1938. Ma ci sono altri esempi di irresponsabili rinunce politiche le cui motivazioni non sono superficiali75, ma profonde, poiché toccano la configurazione della mentalità politica e di come questa percepisce la realtà. L' egualitarismo, che può essere democratico o no, è diventato la generale e volgare espressione del pensiero politico. Il mito dell'uguaglianza convertito a dottrina di governo risulta incompatibile, nelle attuali circostanze, con il riconoscimento del nemico, poiché sottolineare le differenze - di interessi, carattere, ecc. - che oppongono gli uomini e le comunità alle quali questi appartengono appare a molti un volontarismo arbitrario, una discriminazione immorale. Per motivi di egualitarismo democratico si deve accettare incondizionatamente ogni rivendicazione è sottoposta a determinate norme costituzionali. Queste non sono altro che una semplice procedura pubblica che non pregiudica le intenzioni o scopi, ma solo l’esattezza della forma. Tutte le rivendicazioni politiche, anche quelle che violano materialmente la Costituzione, sembrano suscettibili di essere oggetto di dialogo. Il punto di vista politico, a questo punto così essenziale, poiché al di sopra della discussione circa l'indifferenza verso il nemico di un determinato governo, che spunta all'orizzonte storico è il segnale del declino di un modo di vita politica, i cui principi fondatori non sono più forze vive e attive. In qualche modo, la scomparsa del nemico è inscritta nell'orizzonte delle possibilità storiche della politica statale , la cui caratteristica essenziale è la neutralità. La neutralità dello stato moderno ha come scopo fondamentale di superare la guerra civile attraverso il confronto. Questo è stato sicuramente un imperativo storico dello Stato forte e neutrale, unica autorità in grado di calmare le ostilità di radice religiosa76. Tuttavia, il confronto ha come conseguenza la tolleranza77. E la tolleranza, a sua volta, è l'espressione del fatto che lo stato come una macchina, “è indipendente da tutte le convinzioni politiche e gli obiettivi e ha nei confronti dei valori e della verità la neutralità propria di uno strumento tecnico"78. Anche se tolleranza e neutralità sembrano quasi confondersi sin dagli albori dell'era moderna, a parere di Schmitt sono nozioni indipendenti, perché "uno stato neutrale tecnico di questo tipo [che ha svuotato i valori propri del controllo e della funzione di governo d’ogni contenuto di verità religiosa e metafisica, elevandoli ad un piano autonomo] può essere tollerante o intollerante, in entrambi i casi resta neutrale"79. Tollerante o intollerante, la neutralità dello Stato trasforma il volto del nemico interno, incorporato alla città come antagonista. Mentre lo Stato neutrale è anche forte, perché il nemico appare politicamente confinato al rango di "terzo incluso"80; ma quando diventa neutralista, vale a dire, indifferente, non può più distinguere tra amici e nemici. È la lezione politica del fallimento del liberalismo neutrale ed agnostico dell'inizio del ventesimo secolo81. 4. Due corollari della politica senza un nemico: depoliticizzazione del Governo e dello Stato in Europa Sbagliarsi di nemico, prendendo come amici le potenze ostili, è un grave errore storico, che, a prescindere dalla possibilità di correzione del corso degli eventi, disorienta la politica come azione contingente. L'errore può portare a una guerra perduta, una regione separata, o anche alla sottomissione alle condizioni di una pace cartaginese. Ma nella debellatio di oggi talvolta si forgiano le future vittorie, come la pace degli sconfitti è spesso favorevole alla determinazione dei veri rapporti di forza. Ritenere, tuttavia, che il nemico non esista, forse perché cosi dichiara una “costituzione”, è molto più grave, dal momento che distrugge lo spirito difensivo della città e prepara la sua disgregazione e la servitù dei cittadini. Il fenomeno contemporaneo del rifiuto dell’inimicizia non è, però, nuovo. In effetti può essere correlato ai cicli di declino politico, perché nessuna creazione dello spirito umano sfugge al logorio del tempo. Schmitt scrive: "dovunque nella storia politica, di politica estera come di politica interna, l’incapacità o la non volontà di compiere questa distinzione appare come sintomo della fine politica"82. I sintomi di decadenza politica sono ormai numerosi (relativismo dei valori, nichilismo, universalismo), ma di quasi tutti di essi può essere fatta una lettura nella prospettiva del rapporto amico-nemico. La prova di questo è il nichilo-pacifismo e il suo disprezzo per l'uomo in nome di un’umanità senza nemici. Anche la situazione di un' Europa depoliticizzata dal 1945. La questione è di particolare interesse, perché l'Europa è una civiltà politica, a differenza di altre, per cui la depoliticizzazione del suo modo di vita è il segno della sua decadenza storica83. Due fenomeni strettamente correlati caratterizzano questo processo: la depoliticizzazione del governo dello Stato e la depoliticizzazione dello Stato stesso. La rifondazione politica nel 1945 dei regimi europei demo-liberali è un caso unico di arcaismo politico. Sembra che "dalle loro costituzioni non sia passato il tempo, neanche un tempo così denso e ricco di eventi come quello degli ultimi dieci anni"84. Nonostante le correzioni tecniche a favore di un potere esecutivo con capacità di prendere decisioni, disegno già sviluppato in alcune costituzioni europee prima del 1939, e la preferenza per un governo di fazioni (partitocrazia)85, le differenze tra questi regimi e quelli immediatamente antecedenti si rivelano di grado, non di natura. La causa ultima della sua depoliticizzazione riposa sulla peculiarità della teoria politica e costituzionale che li fonda e sulla loro dottrina o ideologia di governo. Il contenuto di questa è la teoria liberale del costituzionalismo neutralista, secondo la quale si può difendere tutto, anche l'annientamento della nazione, a condizione che tale richiesta sia democratica. Sembra contraddire questa affermazione il divieto di alcune ideologie totalitarie, il nazismo e le sue varianti, ma se si guarda al problema da vicino, scopriamo che è un espediente ideologico che permette di integrare in questi regimi un altra specie dello stesso genere totalitario, il comunismo. Non è un caso che l'ammissione del comunismo nella distribuzione del potere abbia giovato tatticamente alla socialdemocrazia europea, che ha potuto presentarsi (e giustificarsi) come una via di mezzo. Inoltre, va osservato che l'ideologia socialdemocratica ha operato dopo la fine della guerra come dottrina ufficiale della maggior parte dei sistemi introdotti in Europa. A questa si sono andate piegando, in ondate successive, altri stili di governo, inizialmente resistenti al mimetismo politico86. La precisa articolazione del pensiero giuridico-politico con la realtà di ogni regime concreto, già qui menzionata, spiega la depoliticizzazione del diritto costituzionale e della scienza che lo coltiva87. Per le sue influenze e vocazioni ideologiche, il “governo” europeo depoliticizzato, di chiara vocazione Saint-Simoniana, è arrivata a confondersi con il Social Welfare State o Stato socialdemocratico, variante tardiva dello statalismo88. Quest'ultima anche appare depoliticizzata: per sua propria dinamica interna (neutralismo) e per le vicende geopolitiche. Tra questi è stata determinante la confusione sui nemici dell'Europa come civiltà politica. Nessuno può dire che il nemico esistenziale comunista è stato effettivamente sconfitto, perché né la sconfitta scientifica, né quella economica, possono sostituire la debellatio reale, la politica. Sono ancora attive, dopo il crollo dell'impero sovietico, quelle che Freund ha chiamato "radici del marxismo-leninismo"89. Gli Stati di questa specie, privi di senso politico, sembrano essersi finalmente aperti all'anti-globalizzazione e al dubbioso progetto omogeneizzatore dell' unificazione europea, dettato da una eurocrazia latitante in fuga in avanti, e cosmopolita. I suoi rapporti discutibili con l'ideologia dei mercati mondiali,e con l'aggressivo particolarismo musulmano riflettono la confusione di coloro che hanno abdicato al raggiungimento della tranquilitas ordinis. Ed anche la servitù storica delle comunità che, non in grado di designare i loro nemici, sembrano aver cessato di essere politicamente indipendenti. (traduzione dallo spagnolo di Guglielmo Klitsche de la Grange)
1 In italiano nel testo.
2 Il filosofo spagnolo Xavier Zubiri era solito riferirsi al “contenuto”, alla situazione e all'orizzonte come i tre fattori “dell'esperienza di un'epoca. Cfr. X. Zubiri, «Sócrates y la sabiduría griega», en Historia, Naturaleza, Dios. Alianza Editorial, Madrid, 1987 (19441ª), pp. 189-197. V. anche Javier Conde, Teoría y sistema de las formas políticas. I. E. P., Madrid, 1948 (19441ª), 55 sq.
3 V. J. Conde, op. cit., p. 87.
4 Sui modi del pensiero politico: Dalmacio Negro, «Los modos del pensamiento político», en Anales de la Real Academia de Ciencias Morales y Políticas, v. XLVIII, nº 73, 1996.
5 V. J. Conde, op. cit., p. 94.
6 V. J. Conde, op. cit., p. 98.
7 Il giurista politico spagnolo J. Conde ha studiato il sistema delle forme politiche storiche, almeno «i modi decisivi nei quali il modo di organizzazione ha fatto uso della politikè dìnamis», nel suo libro piu bello: Teoría y sistema de las formas políticas, pp. 101 ss. La filosofía política di Conde lascia traspirare la ontología di X. Zubiri. Per una chiara esposizione di quest'ultima: G. Fernández de la Mora, «El sustantivismo de Zubiri», en Filósofos españoles del siglo XX. Barcelona, Planeta, 1987, pp. 133-183.
8 Non è casuale , in questo senso la persistenza secolare della tipologia triadica delle forme di governo: non c'è alternativa empirica al comando di uno (monocrazia), di vari (oligarchia) o della maggioranza (democrazia). Le varianti di ogni tipo( in funzione per esempio della sottomissione o meno ad un diritto fondamentale della legge positiva secondo l'uso che si faccia del potere) o le sue rispettive combinazioni ( le forme miste di governo) non alterano il dato di fondo.
9 La forma politica costituisce una possibilità, tra le molte attuabili, di attualizzazione delle potenze. La radicalità e l'urgenza del modo di vita politico, una possibilità umanamente ineludibile, è una condizione che appartiene a ciò che Freund chiamò la donnée del politico, cioè, il positum del político. V. J. Freund, L’essence du politique. París, Sirey, 1986, 1ª parte.
10 V. J. Conde, El hombre, animal político. Madrid, Real Academia de Ciencias Morales y Políticas, 1957, p. 20
11 «L'orizzonte varia con enorme lentezza, tanto lentamente che gli uomini quasi non sono coscienti della sua mutazione e propendono a credere nella sua fissità.»: X. Zubiri, «Sócrates y la sabiduría griega», op. cit., p. 193
12 V. X. Zubiri, «Realidad, ciencia, filosofía», en op. cit., p. 34.
13 «Il pensiero, oltre alla sua dimensione dichiarativa, ha una dimensione incoativa: ogni pensiero pensa qualcosa con pienezza e comincia a pensare germinalmente. Non si tratta del fatto che da alcuni pensieri possano dedursene altri mediante il ragionamento, ma di qualcosa (che colpisce) la struttura stessa del pensare in quanto tale. Grazie a questo, l'uomo possiede una storia intellettuale»: X. Zubiri, «Sócrates y la sabiduría griega», op. cit., p. 196.
14 «Le potenze di tutti gli uomini si esercitano, in ogni epoca della storia in maniera sensibilmente identica. Però la vita che con questa si costruisce, l'uso che di questa facciamo, è variabile»: X. Zubiri, «El acontecer humano: Grecia y la pervivencia del pasado filosófico», en op. ult. cit., p. 371. Questa variabilità spiega che la storia non è una mera successione di fatti, ma una trama di “avvenimenti”.
15 V. X. Zubiri, «El acontecer humano: Grecia y la pervivencia del pasado filosófico», en op. ult. cit., p. 371.
16 «Nous avons choisi d’être machiavélien, scrive Freund, [étant donné qu’] il ne s’agît d’être réaliste ou idéaliste –ces mots sont d’ailleurs recouverts d’une poussière éthique assez trouble– mais de saisir le politique dans sa réalité d’essence humane».V. J. Freund, L’essence du politique, pp. 22-23. Anche J. Molina, Julien Freund, lo político y la política. Madrid, Sequitur, 1999, pp. 59 sq., y «Julien Freund, del realismo político al maquiavelianismo», en Anales (Facultad de Ciencias Sociales de la Universidad Católica de La Plata), 2004, pp. 20-24. Cfr. S. de la Touanne, Julien Freund, penseur machiavélien de la politique. París, L’Harmattan, 2004.
17 V. J. Freund, L’essence du politique, pp. 756-759. Anche Antonio Millán-Puelles, Ontología de la existencia histórica. Madrid, Rialp, 1955, passim.
18 Sul neutralismo e la sua relazione con la neutralità dello Stato v. J. Molina, «L’Espagne entre dépolitisation et défis séparatistes», en Catholica, nº 85, autunno del 2004, pp. 85-87.
19 Il punto di vista politico è, secondo l'elegante definizione di Rodrigo Fernández-Carvajal, un sapere sopra le ultimità sociali (virtus intellectualis circa postrema socialia) v. El lugar de la ciencia política. Murcia, Secretariado de Publicaciones de la Universidad de Murcia, 1981, p. 226, nota 340. I presupposti di questo sapere inglobante sono, tra gli altri, i seguenti : a) il primato storico del politico b) l'inescusabile riconoscimento del nemico c) l'impossibilità di scegliere sempre i mezzi dell'azione politica d) la distinzione tra il politico e la politica e) la distinzione tra il politico e lo Stato.
20 Gilles Mignot si è occupato schematicamente della forma (onnipresente) del pensiero politico debole o corretto in «Problématique du modérantisme», in Catholica, nº 86, inverno del 2004, pp. 4-9. Dopo aver risaltato la capacità del moderatismo d’integrare l’opposto sino alla sua sterilizzazione o neutralizzazione («processus d’intégration-dilution») – che in realtà presuppone che l'istanza neutralizzatrice è di suo un'istanza neutralista- e enucleare le forme del moderatismo (collaborationisme actif et paliatif, optimisme invétéré et quietisme), conclude che le sue due note caratteristiche sono il rifiuto della realtà e il rifiuto di ogni conflitto.
21 V. B. Dumont, «Le défi principal», en Catholica, nº 84, primavera del 2004.
22 La buona reputazione del neutralismo moderato e dei suoi portavoce non può occultare il suo grave e generale influsso sull'intelligenza del politico. L'espulsione del nemico, anche come possibilità, dalla cultura di una nazione non è l'unica conseguenza della “povertà” politica, la quale si manifesta anche in altri segni: il rifiuto infantile di ogni potere, la critica dissolvente dell'idea di ordine, la rinuncia incondizionata alla guerra, etc. Questi dati rivelano il profilo del perfetto idiota politico del nostro tempo.
23 V. Ch. de Gaulle, La discorde chez l’ennemi, en Le fil de l’epée et autres ecrits. París, Plon, 1999.
24 Sulla pace come mezzo della politica v. J. Molina, Julien Freund, lo político y la política, pp. 255 ss. Non è raro che coincidano nella stessa posizione intellettuale il rifiuto della possibilità del nemico e la visione della pace come finalità politica.
25 V. C. Schmitt, «Amnistie ou la force de l’oubli», en Krisis, nº 26, febbraio 2005.
26 V. Plutarco, Solon, nelle Vite: Solon-Publicola. Thémistocles-Camille. París, Les Belles Lettres, 1968, 21.1, p. 34.
27 Aristótele, Política, libro I, cap. II, 1252b. L'aristotélico Saavedra Fajardo diceva a modo suo, seguendo l'insegnamento Stagirita, che «[il fine ultimo della società civile]è la comodità della vita con equità e giustizia». D. Saavedra Fajardo, Política y Razón de Estado del Rey católico Don Fernando, en República literaria – Locuras de Europa. Madrid, Atlas, 1944, p. 116.
28 C. Schmitt, Ex captivitate salus. Expériences des années 1945-1947. Textes présentés, traduits et annotés par A. Doremus. París, Vrin, 2003, p. 168, trad. it., Milano 1987, p. 92.
29 V. J. Freund, «L’éternelle politique», en Paysans, v. 20, nº 120, 1972.
30 Alla continuità storica della dialettica amico-nemico si è interessato Gunter Maschke, «‘Amigo y enemigo’: Kautilya y Álamos de Barrientos, anticipadores del criterio schmittiano», en Empresas Políticas, nº 4, 2004.
31 Freund si riferisce per questo al criterio del politico di Carl Schmitt (der Begriff des Politischen) come ad una «banalité supérieure»: J. Freund, L’essence du politique, p. 442.
32 Tucídides, Storia della guerra del Peloponneso. Madrid, Cátedra, 2004.
33 Kautilya, Traité du politique. París, Pocket, 2005.
34 B. Álamos de Barrientos, Discurso político al rey Felipe III al comienzo de su reinado. Barcelona, Anthropos, 1990.
35 B. Álamos de Barrientos, Aforismos al Tácito español (16141ª), t. II. Madrid, C. E. C., 1987, p. 790.
36 Saavedra Fajardo scrisse sui nemici dell'Impero spagnolo, però soprattutto trattò con loro dalle sue prime destinazioni in Roma e Napoli. Si veda specialmente la sua corrispondenza diplomatica: Quintín Aldea Vaquero, España y Europa en el siglo XVII. Correspondencia de Saavedra Fajardo, t. I (1631-1633) y II (1634). Madrid, C. S. I. C., 1986, 1991. O la sua Relación de las cosas que hay dignas de saberse en Roma para quien trata del servicio del rey de España (1618). Santiago de Compostela, Xunta de Galicia, 2000.
37 Naturalmente, questa chiaroveggenza non è un privilegio spagnolo. In Les six livres de la République (1576) Bodin distingue chiaramente tra «brigands et corsaires» e «droits ennemis en faict de guerre» (París, Fayard, 1986, vol. I, p. 28).
38 V. R. Aron, Paix et guerre entre les nations (1962). París, Calmann-Lévy, 2004.
39 V. C. Schmitt, Der begriff des politischen, in La notion de politique. Théorie du partisan. París, Flammarion, 1992, pp. 66-67, trad. it. ne Le categorie del politico, Bologna 1972, pp. 89-165.
40 Anche se Schmitt dice di occuparsi dell'essenza del politico, lo sviluppo della sua meditazione sul nemico nelle successive versioni di Der begriff des politischen testimonia il contrario. Nella sua prefazione del 1963 scrive, ad abuntandiam, che il suo saggio è «une étude que l’on ne saurait amorcer par des définitions intemporelles, bien au contraire». C. Schmitt, op. cit., pp. 57 e 41.
41 «Il termine politico non designa un dominio di attività propria»: C. Schmitt, Der begriff des politischen, op. cit., p. 77. Piu avanti si dice: «la frase, spesso citata, relativa alla trasformazione della quantità in qualità ha un senso fondamentale politico, esprime la convinzione che ogni settore dell’attività umana è suscettibile di divenire politico, se è in grado di determinare un raggruppamento umano fondato su un antagonismo d’intensità qualitativamente nuovo», op. ult. cit., pp. 105-106.
42 C. Schmitt, op.ult. cit., p. 77, trad. it. cit. P. 121.
43 C. Schmitt, op. ult. cit., p. 76., trad. it. cit. P. 120.
44 . J. Freund, L’essence du politique, p. 449. L’evidenziato è nostro.
45 V. J. Freund, L’essence du politique, p. 39.
46 Cfr. Tucídides, Historia de la guerra del Peloponeso, V, 77-82. Questa è stata la dura lezione del cambio di regime in Spagna e il renversement des alliances della nazione iberica nel marzo del 2004, coincidendendo un'insidiosa dichiarazione di guerra (attentati 11-M) e la rimozione di un governo(elezioni del 14-M). Nihil sub sole novi.
47 Così si riferiva alla patria il politico e dottrinario antiromantico José Antonio Primo de Rivera, nell'ambito della migliore tradizione spagnola dell'impresa: «Ante una encrucijada en la historia política y económica del mundo (1935)», en Obras de José Antonio Primo de Rivera. Madrid, Delegación Nacional de la Sección Femenina de F. E. T. y de las J. O. N. S., 1966, p. 507.
48 Si è corretto molte volte, seguendo Schmitt, nel quale l'evangelista scrive inimicus (nemico privato) e non hostis (nemico pubblico o politico). V. C. Schmitt, La notion de politique, op. cit., p. 67.
49 C. Schmitt, op.ult. cit., p. 67, trad. it. cit. p. 112.
50 V. E. Galán y Gutiérrez, «El concepto de lo político», en Revista General de Legislación y Jurisprudencia, IV, abril de 1941, p. 294.
51 É questo punto che ha interessato alcuni dei maggiori esponenti del giusnaturalismo cattolico spagnolo della seconda metà del secolo XX. Il romanista Álvaro d’Ors, in riferimento ai vinti della Guerra di Spagna scrive che « neanche bisogna vergognarsi di chiamarli nemici, poiché una cosa è doverli amare, ciò che cristianamente osservo, e altra molto distinta che si debbano confondere con gli amici , per il quale non trovo nesseuna disposizione nei Vangeli»: Papeles del oficio universitario. Madrid, Rialp, 1961, p. 17.
52 V. J. Freund, L’essence du politique, pp. 444 e 653.
53 La polemologia, come sociologia particolare del conflitto, non è per se un' istanza polemogena. Almeno non più della irenología. Sul pensiero polemologico di Freund e la sua articolazione sistematica con la sua filosofía del político: J. Molina, Conflicto, gobierno y economía. Cuatro ensayos sobre Julien Freund. Buenos Aires, Struhart y cía, 2004, cap. 2.
54 Sono le parole che Tocqueville dedica alla mancanza di perspicacia della classe politica dell'Ancien Régime, incapace di riconoscere il proprio nemico esistenziale, l' idra della Rivoluzione, «quand déjà 93 est sous leurs pieds». A. de Tocqueville, L’Ancien Régimen et la Révolution. París, Gallimard, 2002, p. 233.
55 La «perdita del senso della realtà» costituisce uno degli ingredienti caratteristici del nostro tempo. Il giurista político Jesús Fueyo, preoccupato per la dimensione storica della coscienza della realtà diceva che « il comportamento storico, l’unico senso umano del tempo che non è possibile concepire dalla nostra tradizione occidentale stà perdendo intellegibilità e,ciò che è più grave, la legittimità.» é questa « la grotta che rovina ogni sistema morale e ogni architettura sociale, la leucemia che consuma i saperi politici e morali»: Eclipse de la historia. Madrid, Real Academia de Ciencias Morales y Políticas, 1981, p. 21. Un esame esaustivo della schizofrenia spirituale dell'Europa, molto opportuna per quel che qui si dice e con importanti conseguenze politiche, in D. Negro Pavón, Lo que Europa debe al cristianismo. Madrid, Unión Editorial, 2005.
56 Sul carattere volgare e demenziale di buona parte del pensiero politico-giuridico attuale, allontanato dal senso comune («respuesta de una conciencia personal no perturbada por las ideologías, que, en el fondo, es natural»), si può vedere: Álvaro d’Ors, Derecho y sentido común. Madrid, Cívitas, 1995, pp. 27 y 29; y Nueva introducción al estudio del Derecho. Madrid, Cívitas, 1999, p. 57.
57 Dimenticarsi del nemico si relaziona anche con altri ambiti del pensiero, egualmente sensibili a questo deterioramento dell'intelligenza del politico. Nel campo della filosofia è conseguenza dell'auge del relativismo nominalista; mentre che in quelli della sociologia costituisce una variante della mentalità multiculturalista.
58 C. Schmitt, El nomos de la tierra en el derecho del Jus publicum europaeum. Madrid, C. E. C., 1979, p. 181, trad. it., Milano 1991.
59 Ispirato dalle sue meditazioni hobbesiane (C. Schmitt, El Leviatán en la teoría del Estado de Tomás Hobbes), uno dei suoi primi interlocutori, Leo Strauss, si occupa con molta attenzione della questione in «Apuntaciones sobre El concepto de lo político de Carl Schmitt», incluso in L. Strauss, Persecución y arte de escribir y otros ensayos de filosofía. Valencia, Institución Alfonso el Magnánimo, 1996.
60 Non è sicuro, come a volte si presume, che l'esperienza storica delle dittature si esaurisca sempre in una cronaca nera, nella desolazione dello spirito. Il dispotismo, e nell’età contemporanea, il totalitarismo non possono confondersi con la dittatura alla romana, nemmeno con la dittatura costituente. Sebbene ogni totalitarismo è strumentalmente una dittatura, non ogni dittatura è totalitaria. Una visione politica realista della dittatura come stabilizzatore in R. Fernández-Carvajal, La constitución española. Madrid, Editora Nacional, 1969.
61 Sopra tutti questi temi ci sono riflessioni sintetiche e molto sodisfacenti in Á. d’Ors, Bien común y enemigo público. Madrid, Marcial Pons, 2002.
62 Es la opinión de Á. d’Ors, Bien común y enemigo público, p. 48.
63 D. Negro si è occupato di questo tema , ponendo in risalto una certa tendenza della Chiesa come istituzione a burocratizzarsi o “statificarsi”, processo relativamente recente. V. D. Negro, Lo que Europa debe al cristianismo, pp. 18, 19, 20-24 y 190. V. anche D. Negro, «Los modos del pensamiento político», en Anales de la Real Academia de Ciencias Morales y Políticas, nº 73, 1996. Cfr. J. Molina, «L’éclipse de l’État est-elle une mauvaise nouvelle?», en Catholica, nº 88, inverno 2005, pp. 41-42.
64 Precisava nonostante l'autore che «il n’est pas question de mettre en cause ici l’autorité morale du pape, qui semble plus grande que jamais». V. J. Freund, «Les obstacles à la paix», en Le Nouvel Âge. Éléments pour la théorie de la démocratie et la paix. París, Marcel Rivière, 1970, p. 210 e 211.
65 J. Freund, «Les obstacles à la paix», op. cit., pp. 211 y 212. C'è in effetti, una «politique d’Eglise[,] en principe chrétienne», che non vuol dire «une politique chrétienne [soit] forcément d’Eglise». Per Schmitt la Chiesa, come «représentation visible, dans l’histoire du monde, du Christ devenu réellement homme» è un ordine politico giuridico concreto;che ha manifestazioni negli ordini estetico, giuridico, e della potenza: C. Schmitt Théologie politique. Une légende: la liquidation de toute théologie politique, en Théologie politique. París, Gallimard, 1988, p. 98, nota. Trad. it. di A. Caracciolo, Teologia politica II, Milano 1992.
66 J. Freund, «Les obstacles à la paix», op. cit., p. 214. Mentre la pace evangelica dipende dalla buona volontà, la pace politica dipende dalla volontà tout court. V. J. Freund, Sociologie du conflit. París, P. U. F., 1983, p. 345.
67 J. Freund, «Guerre et politique», en Politique et impolitique. París, Sirey, 1987, p. 145.
68 La confusione tra il prossimo e il cittadino è, secondo lui, un pregiudizio abbastanze esteso negli scritti cattolici e protestanti. Diceva Freund, come contrappunto , che nelle argomentazioni teologiche sulla pace non si cita molto il «passage stupéfiant de Saint Paul dans la Première Epître aux Thessaloniciens (V,3): ‘Quant les hommes se diront: Paix et sécurité, c’est alors que tout d’un coup fondra sur eux la perdition, comme les douleurs sur la femme enceinte, et ils ne pourront y échapper’»: «Guerre et politique», op. cit., p. 145.
69 Anche se la carità, come ha ricordato D. Negro, può edulcorare la separazione amico-nemico «non la elimina nella pratica, dovuta all’indole della natura umana, che rende inevitabili le differenze politiche». V. D. Negro, «El problema de la Teología política a propósito del nuevo Catecismo», en VV. AA., Estudios sobre el Catecismo de la Iglesia católica. Madrid, AEDOS-Unión Editorial, 1996, p. 522.
70 Nonostante D. Negro ha segnalato che l'idea di amicizia politica sia implicita nel numero 1880, concretamente nel «principio de unidad» (unitatis principio) che costituisce un' unione di persone in una società: «El problema de la Teología política a propósito del nuevo Catecismo», loc. cit., p. 524.
71 Così, il numero 2265 si riferisce agli «aggressores civilis communitatis».
72 Il numero 2267 si riferisce a chi ha commesso un crimine come «ingiusto aggressore».
73 Anche se nell'enumerazione delle condizioni della legittima difesa si introduce anche il termine aggressore, il suo spirito corrisponde alla dottrina cattolica tradizionale sulla guerra giusta. Si esorta i cittadini e i governanti a evitare la guerra, però riconosce prudentemente che «se esiste il rischio, di guerra e di mancanza di un’autorità internazionale competente e provvista della forza corrispondente, una volta esauriti tutti i mezzi di accordo pacifico, non si potrà negare ai governi il diritto alla legittima difesa» (núm. 2308). Il Catechismo, che diminuisce l'osservanza di certe regole nella conduzione della guerra (nn. 2312 a 2314), dichiara il dovere che hanno i governanti di imporre ai cittadini le prestazioni necessarie per la difesa nazionale (nn. 2240, 2310 e 2311).
74 Diceva René Guénon che il fenomeno del «verbalisme», tanto proprio del nostro tempo, consiste in ciò che «la sonorité des mots suffit à donner l’illusion de la pensée». V. R. Guénon, La crise du monde moderne. París, Gallimard, 1999, pp. 127-128.
75 Alla fine dei conti, la paura inglese divenì «blood, toil, tears and sweat » a partire del maggio 1940.
76 Soprattutto questo J. Conde, El pensamiento político de Bodino (19351ª), en Escritos y fragmentos políticos, t. I. Madrid, I. E. P., 1974, espec. pp. 49-55.
77 In principio, la tolleranza si riferisce al riconoscimento delle differenze tra distinte confessioni, sebbene quest'attitudine politica ha come limite e presupposto l'osservanza di un minimum religioso. Questa è la tesi del famoso colloquio Heptaplomeron (1588) di Jean Bodin,sebbene in quest'opera già critica l'indifferenza nei confronti della verità. Una volta che i sette saggi che anno preso parte ai colloqui- un luterano, un calvinista, un deísta, un ebreo, un maomettano, uno scettico e un cattolico si abbracciano per ritirarsi, racconta Bodin che «da allora,coltivarono , in un’ammirabile concordia, la pietà e la virtù, vivendo insieme e studiando in comune; però, in futuro, si astenerono da ogni discussione sugli affari religiosi, conservando ognuno di loro la propria religione in una perfetta onestà di vita». Apud Pedro Bravo Gala, «Estudio preliminar» a J. Bodin, Los seis libros de la República. Madrid, Tecnos, 1985, p. XXVIII (el prologuista cita según la edición de 1857 de I. Noack: Heptaplomeron, sive colloquium de abditis sublimium rerum arcanis, p. 358). John Locke, con la sua nozione di toleration, non è su questo punto lontano da Bodin. La tolerance, attitudine che non si limita alla sfera religiosa, è un principio molto più moderno.
78 V. C. Schmitt, El Leviathan en la teoría del Estado de Tomás Hobbes (1938). Granada, Comares, 2004, p. 36, v. trad. it., Milano 1986
79 V. C. Schmitt, El Leviathan en la teoría del Estado de Tomás Hobbes, p. 40. Rispetto a ciò, Schmitt puntualizza che l’erastismo non è tuttavia una deviazione verso la neutralizzazione della verità, op. cit., p. 37.
80 V. J. Molina, Julien Freund, lo político y la política, pp. 151 sq.
81 V. J. Molina, «Sin ilusión, sin pesimismo. El realismo político liberal de Raymond Aron», in J. Mª Lassalle (editor), Raymond Aron: un liberal resistente. Madrid, F. A. E. S., 2005, pp. 301-304.
82 C. Schmit, Der begriff des politischen, op. cit., p. 113.
83 Anche se non sembra essere un fenomeno avvertito, la diseuropeizzazione dell'Europa è sinonimo di depoliticizazione. Dalmacio Negro si è occupato di questa materia,mettendola in relazione con la scristianizzazione del Vecchio continente e all’effetto decivilizzante dello Stato nella sua degradata forma socialdemocratica. V. D. Negro, Lo que Europa debe al cristianismo, passim.
84 Così si riferisce il giurista politico Carlos Ollero al neocostituzionalismo europeo della postguerra , «che non solo non rappresenta qualcosa di nuovo, ma che, in relazione con ciò che si andava elaborando dopo la contesa del 14, si può ben dire che significa una retrocessione». C. Ollero, El derecho constitucional de la postguerra. Barcelona, Bosch, 1949, pp. 12 y 13.
85 Tra gli altri rifermenti classici su questa forma oligarchica di governo: Giuseppe Maranini, Governo parlamentare e partitocrazia: lezione inaugurale dell’anno academico 1949-50. Florencia, 1950, y Gonzalo Fernández de la Mora, La partidocracia. Madrid, I. E. P., 1977.
86 La «anafilaxia constitucional», cioè, l'orginalità e indipendenza dei processi costituenti che fuggono dal mimetismo, sono stati rari nell'Europa degli accordi di Yalta. Ci sono due esempi che risaltano: il costituzionalismo gaullista e franchista. Meriterebbe uno studio a parte il regime del dr. Oliveira Salazar. Sui parallelismi tra de Gaulle e Franco vedi J. Molina, «Franco y De Gaulle», en Razón Española, nº 132, luglio-agosto de 2005. Per il concetto di «anafilaxia constitucional»: R. Fernández-Carvajal, La constitución española, p. 80. Cfr. Juan Beneyto Pérez, «Parábola histórica de la imitación política», en El pomo de la espada. Madrid, Editora Nacional, 1961.
87 Per questa ragione ha interesse – oltre la curiosità semantica – la sopravvivenza nel mondo ispanico del così denominato «Derecho político», particolarmente in Argentina.
88 É calato profondamente in questa forma politica ipertrofica, poichè è anche governo e regime sociale, Hans-Hermann Hoppe, Monarquía, democracia y orden natural. Una visión austríaca de la era americana. Madrid, Gondo, 2004.
89 V. J. Freund, L’aventure du politique. Entretiens avec Charles Blanchet. París, Criterion, 1991, pp. 169 sq.    


Pubblicazione del: 19-07-2011
nella Categoria Dottrina dello Stato e Diritto Costituzionale


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