Il Discorso di Epinal-Charles de Gaulle-Vol.22-
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IL DISCORSO DI EPINAL
Nella notte tra il 28 e il 29 settembre 1946, l'Assemblea nazionale costituente francese votò il progetto di Costituzione che doveva essere sottoposto a referendum il successivo 13 ottobre. Il 29 settembre il generale Charles De Gaulle pronunciò il seguente discorso di crìtica a Epinal. In tempi "costituenti" ci sembra interessante sottoporlo ai lettori. Si noti che, come riferito in altra parte di questa rivista, il progetto ottenne il consenso di appena il 36% (scarso) degli elettori. Con quel che ne seguì. Nella storia della Francia, tessuta con le glorie più grandi e i più grandi dolori, i Vosgi, ancora una volta, hanno appena offerto alla patria il fedele omaggio del loro coraggio e dei loro sacrifici. Nessuna terra fu mutilata più profondamente della vostra. In nessun luogo la distruzione delle case, delle fattorie, degli opifici, degli strumenti del lavoro e della vita è stata maggiore di quel che avete subito. Nessuna regione ha sopportato un così gran numero di uomini e donne deportati dal nemico - più di diecimila - di patrioti fucilati - più di tremila - di gente comune cacciata dalle loro case - più di ottantamila! Nei molti combattimenti ingaggiati dalle nostre forze partigiane dietro le linee dell'invasore, non vi sono stati fatti d'arme più magnifici ed utili di quelli svoltisi qui, come, per esempio, l'attacco di Carcieux e di Taintrux, il 6 giugno 1944, la difesa della fattoria di Viombois nei primi giorni di settembre. Nei ranghi delle nostre armate, quanto furono numerosi e quanto valenti i combattenti della vostra gente! A! Se i Vosgi ebbero, per concludere, l'onore d'offrire alla gloriosa prima armata francese, alla valorosa settima armata americana e all'immortale falange di Ledere la loro base di partenza per giungere prima al Reno, poi fino al Danubio, questo onore l'avevano pagato a caro prezzo! E' stata la Francia, e solo la Francia, ad ispirare ai Vosgi la loro dedizione e i loro sforzi. Per servire la Francia, e solo la Francia, ne hanno sopportato il peso. E' per la Francia, e solo per la Francia, che sono morti quei loro figli che hanno seminato con il sangue dei loro corpi il cammino della Vittoria. Quando è in gioco l'indipendenza e la grandezza della patria, esiste, tra tutti i francesi, una solidarietà vitale, un dominio comune e indivisibile in difesa del quale hanno insieme versato in ogni secolo, e ancora ieri, tanto sangue e tante lacrime che ogni pretesa o ricompensa ne è esclusa come un sacrilegio, laddove non possono essere ammessi che il semplice rispetto e l'umile amore della Francia. Ma giustamente, dato che tutti insieme, figli e figlie della stessa madre, dividiamo le sue pene e i suoi successi, dobbiamo, del pari, essere più attenti ai grandi insegnamenti che ne derivano. Dopo gli eventi terribili che abbiamo appena vissuto, comprendiamo meglio che mai quale capitale importanza rivesta per il nostro paese, come per il destino di ciascuno di noi e di ciascuno dei nostri figli, la forma in cui s'organizza e si esercita la direzione della nazione. Noi vediamo con chiarezza la conseguenza che non può non avere sulla libertà, sul nostro lavoro, sulle nostre risorse, sulla nostra potenza, sulla nostra stessa vita, la capacità dello Stato. In breve, sappiamo cosa significa e fin dove spiega effetti il valore o la debolezza delle nostre istituzioni. Ma in questi Vosgi, che furono e sono uno dei baluardi della patria, tanto sotto il profilo della sua difesa che del lavoro e della prosperità, in questi Vosgi che hanno tanto sofferto fisica-mente e moralmente delle debolezze e manchevolezze di un tempo, in questi Vosgi dove si è sempre vissuta la cosa pubblica con ragione e sentimento, in questi Vosgi che ispirano ancora i grandi pensieri d'un Jules Ferry, c'è l'occasione di riflettere particolarmente bene a quello che deve, ormai, divenire la Repubblica. In un momento decisivo per l'avvenire dello Stato noi non potremmo trovare per parlarne alcuna città che, più di Epinal, fosse così qualificata per capirci. La Repubblica è stata salvata a un tempo con la patria. Durante l'intera guerra, mentre lottavamo duramente - la storia dirà tra quanti intrighi e difficoltà - per ridestare, raccogliere, mettere all'opera le forze divise dalla Francia e dell'Impero, abbiamo tenuto fermo come principio politico che al popolo francese solamente spettava di decidere delle proprie istituzioni, e che una volta realizzata la liberazione del paese e ottenuto la vittoria gli avremmo reso il potere pieno e completo di decidere di se stesso. Il giorno stesso in cui iniziammo la nostra missione a servizio della Francia assumevamo e proclamavamo questo impegno. C'era in questo, in primo luogo, da parte nostra, l'effetto di una convinzione tanto ferma che ragionata: inoltre, in un conflitto che per la Francia, era, ideologicamente, la lotta tra totalitarismo e libertà, sarebbe stato contraddirsi, ovvero distruggersi da soli, barare col proprio ideale. Infine, lottando per tutti i dirit- ti della nazione, tanto quelli verso l'interno che verso l'esterno, davamo alla nostra azione e alla nostra autorità il carattere della legittimità, conservavamo per tutti i francesi il terreno sul quale avrebbero potuto ricostruire la loro unità nazionale e ci mettevamo in grado di ergere contro ogni tentativo di intervento illegittimo dello straniero un'intransigenza giustificata. L'impegno da noi preso, l'abbiamo, puramente e semplicemente, mantenuto. Dal momento in cui fu possibile, abbiamo chiamato al voto tutti i francesi, allo scopo di eleggere prima i consigli municipali, provvisori, poi i Consigli generali, infine un'Assemblea nazionale cui abbiamo trasferito subito e senza riserva alcuna, come sempre promesso, i poteri da noi esercitati per cinque, difficili, anni. Nel frattempo, abbiamo governato, chiamando al nostro fianco uomini di ogni parte. L'abbiamo fatto, certo, con autorità, perché nulla va avanti in modo diverso, ed abbiamo senza riguardo, ma non senza rammarico, spezzato o sciolto tutti i tentativi interni di istituire qualsiasi potere che non fosse quello del Governo della Repubblica. Poco a poco, la nazione ci aveva ben compreso e seguito. Così fu salvata la casa ed anche qualche mobile. Così il paese poté recuperare il tesoro, intatto, della propria sovranità rispetto a se stesso e agli altri. E' perciò, sia appena cennato, che accogliamo con un fermo disprezzo le risibili accuse di ambizioni dittatoriali, che cerumi, oggi, rivolgono al nostro riguardo e che sono esattamente le stesse di cui, dopo il 18 giugno 1940, fummo subissati, senza essere schiacciati, dal nemico e dai suoi compiici, dalle turbe d'intriganti insoddisfatti, e, da ultimo, da certi stranieri i quali guardavano di traverso, nella nostra persona, l'indipendenza della Francia e l'integrità dei suoi diritti. Ma se la Repubblica è salva, resta da ricostruirla. A questo riguardo, abbiamo sempre chiaramente fatto conoscere alla nazione qual'era la concezione della salvezza dopo le terribili lezioni appena patite e prima dei difficili ostacoli che dobbiamo superare. L'abbiamo fatto, convinti che questa concezione corrisponde al sentimento profondo del popolo, anche se l'irregi-mentazione nei partiti doveva contrastarne l'espressione. Ripetiamo oggi ciò che non abbiamo cessato di dire in tante forme e in tante occasioni. Ci sembra necessario che lo Stato democratico sia lo Stato democratico, ovvero che ciascuno dei tre poteri pubblici: esecutivo, legislativo, giudiziario, sia un potere, ma un solo potere, che il suo compito si mantenga limitato e separato da quello degli altri e che sia, da solo, ma pienamente, responsabile. Ciò per impedire che regni tra i poteri dello Stato quella confusione che li degrada e li paralizza; ed anche fare in modo che l'equilibrio stabilito tra questi non permetta a nessun potere di schiacciarne un altro, ciò che condurrebbe, dapprima, all'anarchia, e dopo, alla tirannide, o d'un uomo, o d'un gruppo di uomini, o di un partito, o di un raggruppamento di partiti. Ci sembra necessario che il Capo dello Stato sia uno, ovvero che sia eletto e scelto per rappresentare realmente la Francia e l'Unione Francese; che gli competa, nel nostro paese così diviso, indebolito e minacciato, d'assicurare al di sopra dei partiti il regolare funzionamento delle istituzioni, e di far valere, in mezzo alle contingenze della politica, gli interessi permanenti della nazione. Affinchè il Presidente della Repubblica possa assolvere a tali doveri, è necessario che gli sia attribuito il potere di nominare i successivi governi, di presiederne il Consiglio e di firmarne i decreti; che abbia la potestà di sciogliere l'Assemblea eletta con suffragio diretto nel caso in cui non ci sia nessuna maggioranza coerente che permetta alla stessa di esercitare normalmente il suo potere legislativo e di sostenere alcun Governo; infine che abbia la funzione d'essere, checché succeda, il garante dell'indipendenza nazionale, dell'integrità del territorio e dei trattati sottoscritti dalla Francia. Ci sembra necessario che il Governo della Francia debba essere uno, cioè un insieme di uomini uniti da idee e convinzioni simili, raccolti per l'azione comune intorno a un capo e sotto la sua direzione, collettivamente responsabili dei loro atti davanti all'assemblea Nazionale, ma realmente e obbligatoriamente solidali in tutte le loro azioni, in tutti i loro meriti e in tutti i loro errori: in mancanza di questo si potrà avere una parvenza di esecutivo ma non un Governo. Ci sembra necessario che il Parlamento sia uno, ovvero che deliberi le leggi e controlli il Governo, senza governare egli stesso, né direttamente, né tramite persone interposte. Questo è un punto essenziale che implica, evidentemente, che il potere esecutivo non proceda da quello legislativo. Il Parlamento deve avere due Camere, una preponderante, l'Assemblea Nazionale, eletta a suffragio diretto, la seconda, il Consiglio della Repubblica, eletta dai consigli generali e municipali che sia di complemento alla prima, soprattutto facendo valere, nella redazione delle leggi, i punti di vista finanziario, amministrativo e locale che un'Assemblea puramente politica ha tendenza a trascurare. Ci sembra necessario che la giustizia sia la giustizia, cioè indipendente da tutte le influenze esterne, in particolare quelle politiche. Se quindi, com'è ragionevole la giustizia si amministra in un Consiglio della Magistratura, sarà di conseguenza indispensabile che questo organo rimanga chiuso ad ogni influenza di partito. Ci sembra necessario che l'Unione Francese sia un'unione e sia francese, cioè che i popoli d'oltre mare che sono legati al nostro destino, abbiano la facoltà di svilupparsi seguendo le proprie tradizioni e accedano alla gestione dei loro affari particolari a seconda e a misura dei loro progressi; che essi siano associati alla Francia per la deliberazione dei loro interessi e che la Francia mantenga la sua preminenza per quello che è comune a tutti: politica estera, difesa nazionale, comunicazioni, affari economici dell'insieme. Queste condizioni implicano, da una parte, delle istituzioni locali proprie a ciascuno dei tenitori e, dall'altra parte, delle istituzioni comuni: consiglio degli stati, Assemblea dell'Unione francese, Presidente dell'Unione francese, ministri competenti degli affari comuni a tutti. Dopo che il lavoro costituente era prossimo a compiersi, la grande voce del popolo ha potuto farsi sentire direttamente per due volte e ogni volta nel senso di cosa è opportuno realizzare. Ecco che, di nuovo, i costituenti stanno per terminare il loro lavoro. E' opportuno, ora, giudicarlo. Quanto a noi, dichiariamo che malgrado qualche progresso realizzato rispetto al precedente, il progetto di Costituzione adottato la scorsa notte dall'Assemblea Nazionale non ci sem- ra soddisfacente. Noi stessi, d'altronde saremmo sorpresi che ne fossero affatto soddisfatti molti di quelli che l'hanno votato per delle ragioni ben lontane, senza dubbio, dal problema costituzionale stesso. Anche se è una delle strane caratteristiche della vita politica d'oggigiorno che le questioni si trattino non in profondità e come si presentano, ma nella prospettiva di quella che si è convenuto chiamare la "tattica" e che conduce a volte, come sembra, ad abbandonare le posizioni che si era giurato di difendere. Ma noi non pratichiamo un'arte tanto oscura e pensiamo, al contrario, che per la Francia niente è più importante del restaurare al più presto l'efficienza e l'autorità dello Stato repubblicano, stimiamo quindi che il risultato raggiunto non possa essere approvato perché non risponde alle condizioni necessarie. Perché se, infine, appare a tutti a che punto lo Stato sia impotente, a un tempo per l'onnipotenza e per la divisione dei partiti, è bene che questi partiti dispongano diversamente, a loro piacere e senza contrappesi, di tutti i poteri della Repubblica? Mentre tutti constatano gli incresciosi effetti che genera la dipendenza dei ministri rispetto ai diversi partiti e il difetto di solidarietà tra loro, è bene fare in modo che questo sistema diventi definitivo? Ora cosa ne sarà dell'indipendenza del Governo se è dall'investitura del suo capo da parte dei partiti che prende vita l'esecutivo, addirittura prima che lo stesso sia costituito? Cosa sarà la sua solidarietà se ogni ministro è responsabile separatamente e per suo conto davanti l'Assemblea Nazionale? Mentre tutto rivela la gravita della situazione finanziaria del paese, è bene attribuire all'Assemblea Nazionale l'iniziativa delle spese, di rifiutare al Consiglio della Repubblica la possibilità di opporvisi e di fare eleggere questo in modo che non faccia che riflettere l'altra Assemblea? Mentre non sfugge a nessuno l'importanza che riveste, per ciascun cittadino, l'indipendenza della giustizia, è giusto rimettere l'amministrazione di questa a un Consiglio nel quale la metà dei componenti sarà eletta dai partiti? Mentre gli odierni avvenimenti sollevano nei tenitori d'oltremare tante correnti impetuose e attirano sopra di essi gli intrighi e i desideri degli stranieri, è giusto che le istituzioni dell'Unione francese siano agganciate a degli organi privi di energia? Mentre le nostre istituzioni devono avere per base la libera scelta dei cittadini, è giusto che questi non siano consultati sul modo generale con cui vorranno eleggere i loro mandatari e che, per l'avvenire si spogli il popolo del diritto che si era riservato di decidere egli stesso, con il referendum, in materia costituzionale? Francamente no! Un simile compromesso non ci sembra essere un quadro degno della Repubblica. Dopo delle tremende ferite fisiche e morali, la morte o lo sfinimento dei migliori, la distruzione di metà della nostra fortuna nazionale, la rovina del nostro bilancio, le detestabili divisioni generatesi, come sempre, nello spirito pubblico per le sfortune della nazione, la Francia può e deve trovare il suo nuovo equilibrio politico, economico, morale e sociale, ma è necessario, per pervenirvi, uno Stato equilibrato. In questo mondo duro e pericoloso dove il raggruppamento ambizioso degli Slavi, realizzato, per amore o per forza, sotto l'egida di un potere senza limiti, si erge naturalmente di fronte alla giovane America, colma d'ogni risorsa e che sta scoprendo a sua volta le prospettive della potenza militare, mentre l'Occidente dell'Europa è, per un periodo, rovinato e distrutto, la Francia e l'Unione francese non hanno possibilità di salvaguardare la loro indipendenza, la loro sicurezza e i loro diritti se lo stato non è capace di sopportare, per obiettivi determinati, una responsabilità pesante e continua. Non risolveremo i grandi problemi del presente e dell'avvenire: le condizioni di vita delle persone e delle famiglie e, in primo luogo, dei meno avvantaggiati, l'attività economica del paese, il risanamento finanziario, le riforme sociali e familiari, l'organizzazione dell'Unione francese, la difesa nazionale, la riforma dell'amministrazione, la posizione e azione della Francia nel mondo che sotto la condotta di uno Stato giusto e forte. Queste convinzioni sono le nostre. Esse non hanno partito. Non sono di sinistra né di destra. Non hanno che un solo obiettivo, quello di essere utili al paese. Lo sanno bene tutti gli uomini e le donne del nostro paese, di cui abbiamo avuto spesso l'onore e il conforto di toccare il cuore e lo spirito domandando loro di unirsi a noi per seguire la Francia. Questa volta ancora siamo certi che la chiarezza e la fermezza che sono sempre le doti supreme, vinceranno alla fine, e che così nasceranno per la Francia le istituzioni repubblicane della sua salvezza e del suo rinnovamento. Viva la Repubblica! Viva la Francia! Charles de Gaulle (traduzione di Federica e Teodoro Klitsche de la Grange)
Pubblicazione del: 21-03-2009
nella Categoria Dottrina dello Stato e Diritto Costituzionale
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