AUTOBIOGRAFIA-FRIEDRICH A. VON HAYEK-(MARCO MANGIABENE)-Vol.-51-   Stampa questo documento dal titolo: . Stampa

Friedrich A. Von Hayek,


Autobiografia


Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 2011, pp. 247, € 16.00

Nella Nuova Serie della Biblioteca Austriaca, l’editore Rubbettino ha pubblicato l’autobiografia di Friedrich August Von Hayek. Completa il libro  un’intervista di James Buchanan all’autore rilasciata a San Josè, in California, il 20 ottobre 1978 e una postfazione di Lorenzo Infantino che tratteggia i rapporti tra Hayek e gli studiosi italiani – Luigi Einaudi, Carlo Antoni, Marco Fanno, Costantino Bresciani-Turroni e Bruno Leoni – che, seppure non siano stati messi in luce nell’autobiografia, hanno avuto un ruolo, certamente non trascurabile, nella vita culturale di Hayek.
 Nell’autobiografia, con una serie di risposte alle domande di diversi intervistatori – Robert Chitester, Jack High, Thomas Hazlett, Earlene Craver, James Buchanan, W.W. Barley III, Axel Leijonhufvud - l’autore, un grande intellettuale del Novecento, esponente della scuola austriaca di economia e Premio Nobel nel 1974,  che ha vissuto per quasi vent’anni in Gran Bretagna - dove si sentiva a casa propria -, ripercorre la propria vita, con tutte le vicissitudini, la formazione culturale nella capitale austriaca e a New York, le amicizie, le affinità intellettuali, i dibattiti e le dispute teoriche - particolarmente quella con Keynes, con il quale aveva cordiali rapporti di amicizia -  l’attività d’insegnamento a Vienna, Londra – negli anni d’oro della London School of Economics - Chicago e Friburgo. Viene così tratteggiata la vita di uno straordinario intellettuale liberale - economista e giurista - che ha influito notevolmente nel pensiero economico  e politico del Novecento e continua a influenzarlo nel secolo in corso,  particolarmente in questo periodo caratterizzato da una grave crisi economica di origine finanziaria – che per molti aspetti richiama quella del 1929 – la quale rende necessarie politiche di riduzione del debito pubblico e di crescita economica. A tale riguardo, mi viene in mente la sua lettera al Times del 19 ottobre del 1932 in risposta polemica a quella di Keynes di due giorni prima. Egli scrive: ” Siamo dell’idea che molti dei problemi che ha il mondo in questo momento siano dovuti all’imprudenza delle autorità pubbliche nell’indebitarsi e nello spendere. Non è nostro desiderio assistere a un rilancio di tali pratiche. Nella migliore delle ipotesi, in questo modo si ipotecano i conti pubblici del futuro e si fa crescere tendenzialmente il tasso d’interesse, un processo senza dubbio particolarmente poco auspicabile in questo frangente quando è palese l’urgenza che l’industria privata torni ad avere disponibilità di capitale. La depressione ha largamente dimostrato che l’esistenza di un debito pubblico di grandi proporzioni impone frizioni e ostacoli al riaggiustamento molto maggiori di quelli imposti dall’esistenza del debito privato. Pertanto non possiamo concordare con i firmatari della lettera quando affermano che è il momento adatto per nuove piscine comunali ecc. semplicemente perché la gente sente di volere tali amenità. Se lo stato vuole aiutare la ripresa, il modo giusto di procedere non è tornare alle vecchie abitudini di prodigalità pubblica, ma abolire quelle restrizioni ai commerci e al libero movimento di capitali ( incluse le restrizioni sui titoli di nuova emissione) che attualmente impediscono anche solo l’avvio della ripresa”. Da Hayek, quindi, proviene l’indicazione, quanto mai attuale, di una politica di austerità, di stabilizzazione e di riduzione del debito pubblico e di liberalizzazioni laddove per Keynes la crescita e non la depressione è il periodo migliore per una politica di austerità. La diversità d’impostazione tra i due è evidente e notevole e costituisce una delle chiavi di lettura dell’autobiografia qui recensita   che, insieme a quella, ugualmente significativa per la comprensione del  pensiero di Hayek, cioè del rapporto con Mises e della critica del socialismo, m’interessa evidenziare e indicare in questa sede. Con riferimento alla disputa con Keynes – che conobbe per la prima volta nel 1928, nel periodo degli  Economic Services di Londra e di Cambridge, prima dei contatti formali con la London School of Economics – Hayek confuta e demolisce la questione relativa al rapporto tra la domanda aggregata e l’occupazione, – che è la tesi principale della General Theory - sia nella lezione pubblicata con il titolo  The Paradox of Saving sia in una recensione al Treatise di Keynes. E nella critica a Keynes  e all’interventismo appalesa la sua affinità con Mises il quale in Liberalismus considera l’interventismo medesimo come la via verso il socialismo. Hayek sviluppa poi la critica al socialismo – soprattutto quello classico che aveva principalmente lo scopo di nazionalizzare e socializzare i mezzi di produzione - in The Road of Serfdom, opera nella quale muove forti rilievi critici nei riguardi della pianificazione che conduce al totalitarismo. E’ il caso di precisare, però, che egli non è contrario alla pianificazione pubblica in tutti i campi. A tale riguardo, nella risposta ad una domanda posta da Krueger nel corso della Tavola Rotonda del 22 aprile 1945, che è contenuta nella terza parte del libro, precisa: “ C’è l’intero sistema della struttura legale all’interno del quale la competizione opera – il diritto delle obbligazioni, il diritto di proprietà, le norme generali volte a prevenire la frode e l’inganno. Tutte queste attività sono assolutamente auspicabili. Ma mi lasci definire la pianificazione più positivamente in opposizione alla competizione. Ogni qualvolta al governo si chiede di decidere quanto si deve produrre di una certa cosa, chi può produrla, chi deve essere escluso dalla produzione, chi deve avere questo o quel privilegio – questo è un tipo di sistema sociale che rappresenta un’alternativa al sistema competitivo, che non può essere combinato con esso e che è stato sostenuto per cento anni almeno dalla stragrande maggioranza dei socialisti, che sono divenuti molto influenti. Mi oppongo a ciò. E’ esclusivamente a questo tipo di pianificazione che sono contrario.” Chiarisce ulteriormente, allo stesso interlocutore, di non essere un anarchico e di non pensare che un sistema competitivo possa funzionare senza la vigenza di un sistema legale efficace e intelligente. E’ interessante notare, poi,  – contro i suoi acerrimi avversari – che si dichiara favorevole  alla “garanzia minima” di un salario minimo per tutti. Quanto alla giustizia sociale, che gli interventisti e i pianificatori presumono e dicono di realizzare, Hayek in una risposta a Buchanan, in polemica con Rawls, afferma: “ La gente non sa cosa dice quando parla di giustizia sociale. Hanno situazioni particolari in mente e sperano che se invocano la giustizia sociale qualcuno si prenda cura di tutti coloro che sono in situazioni di bisogno o qualcosa di simile. Ma l’espressione giustizia sociale non ha alcun significato, perché non tutti possono essere d’accordo su  cosa realmente significhi. … L’appello alla giustizia è fatto proprio perché si utilizza una parola molto efficace e affascinante. Ma la giustizia è essenzialmente un attributo dell’azione umana individuale. Uno stato di cose in quanto tale non può essere giusto o ingiusto. Dunque, in ultima analisi, è una mistificazione logica, qualcosa a cui non sono contrario, ma che non ha alcun senso”. Dagli aspetti evidenziati, seppur fugacemente in questa sede, Hayek emerge come pensatore Old Whig – come lui stesso si definiva  sulla scia di Edmund Burke -, avverso al socialismo classico, che aveva lo scopo di nazionalizzare o socializzare i mezzi di produzione, e fortemente critico delle politiche redistribuzionistiche dello stato sociale che hanno l’effetto di distruggere l’ordine del mercato  e di imporre gradualmente una sempre maggiore pianificazione centralizzata. Egli considera ottima  la critica di Mises al socialismo, ma distanziandosi da lui, ritiene che non abbia fatto centro perché “ Mises alla fine è sempre rimasto un razionalista utilitarista. E il rifiuto del socialismo non è conciliabile con il razionalismo utilitarista”. A tale riguardo, afferma: “Il capitalismo presuppone che oltre alla razionalità, possediamo anche una tradizione morale, che è stata messa alla prova dall’evoluzione, ma non è stata creata dalla nostra intelligenza. La proprietà privata non è una nostra creazione consapevole. E non abbiamo neanche inventato la famiglia. Si tratta di tradizioni, essenzialmente di tradizioni religiose”.
In conclusione, la lettura di questo libro autobiografico consente di riflettere su molti aspetti del pensiero di Hayek dal quale provengono indicazioni particolarmente utili - anche se non completamente risolutive in questa fase di grave crisi economica – sicuramente prevalenti rispetto a quelle provenienti dal pensiero di Keynes, che non può essere certamente abbandonato -. I programmi di riforma economica di successo, come ad esempio quello svedese, dimostrano, sulla scia di Hayek, che la stabilizzazione e la riduzione del debito pubblico e della spesa pubblica non sono sufficienti. E’ necessaria una sostanziale liberalizzazione economica con misure come la deregolamentazione del mercato del lavoro e la rimozione di altre barriere che ostacolano la competitività, che scoraggiano l’imprenditorialità e, quindi, restringono indebitamente la capacità di crescita economica.
        Marco Mangiabene

 



Pubblicazione del: 25-07-2012
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