INTRODUZIONE AL REALISMO POLITICO-JERONIMO MOLINA CANO-Vol.-51-   Stampa questo documento dal titolo: . Stampa

INTRODUZIONE AL REALISMO POLITICO

"Massima dell’agire politico", la ragion di stato è anche "una scienza fondamentale per la storia e la teoria dello Stato"1 . Quindi, a prescindere dalla sua genealogia semantica e dell’enorme clamore ottenuto da un termine ormai quasi luogo comune, la storia dell’idea della ragion di Stato non può limitarsi esclusivamente alla modernità, ma è molto più antica. Anche i secoli moderni, ad esser chiari, hanno conosciuto le più diverse modulazioni della ragion di stato, trascinate alla saturazione del pathos2 dalla grande attrazione delle ideologie nazionaliste, incubate dalla metà del XIX secolo.

Con un altro nome, e senza con tale termine nominare il concetto, la ragion di Stato è sempre esistita, perché la politica, la quale non è un regalo compiuto della natura, ma compito infinito3 e insieme effimero, opera nella storia con tropismi identici sullo stesso materiale umano. Hanno trattato di essa i grandi scrittori politici e giuristi europei da Machiavelli a Treitschke, per limitarmi all’opera scritta da Friedrich Meinecke nel 1924, dove certamente mancano i nomi e le opere degli antimachiavellici del Portogallo e Spagna4, molti di loro realisti politici cattolici5. Attualmente anche se il concetto di Stato democratico o forse più precisamente, la dottrina democratica, appare, dal punto di vista dei principi astratti (pubblicità, normativismo, regola della maggioranza), incompatibile con la ragion di Stato, non vuol dire che la comunità politica non è più soggetta, allora come oggi, alle leggi ineludibili del politico. Nelle sue riflessioni sul libro di Meinecke sulla ragion di stato già Carl Schmitt osservava che "nell’epoca della politica di gabinetto, la politica usa altre ragioni, altri significati e un diverso stile di quello un'epoca democratica, in cui l'obiettivo della politica consiste, almeno, in una tecnica dell'opinione pubblica. E quindi, cambia sia il concetto di ratio che quello di Stato"6.

II La risposta alla contingenza politica senza fine non può essere altro che quella del "realismo politico", la conoscenza della politica di cui la "ragion di stato" non è che una particolare classe7. Ve ne sono stati altre nei tempi moderni: dal machiavellico XVI secolo, alla politica di potenza del XX secolo, attraverso le dottrine della sovranità, degli interessi degli Stati e dei colpi di stato. Ma il campo semantico del realismo politico non si limita a ciò: ci sono le massime politiche e le massime di Stato, gli arcana imperii e il segreto di stato, ecc.8. Questi appaiono come parti di un genus di grande estensione nello studio classico di Meinecke; ma anche, più esaustivamente, dato che l'autore cerca di risalire al 2000 a.C., nella Histoire de la raison d'Etat di Giuseppe Ferrari, un'opera del 1860 che inizia così: "Non è la giustizia che fonda i regni né la virtù che distribuisce le corone; il crimine può presiedere alla fondazione di imperi, religioni di massa possono essere create dall’impostura e un’ enorme iniquità far sì che Stati appaiono e scompaiono, come se il male fosse necessario come il bene"9. Come si vede, nulla che non fosse noto alla più antica sapienza politica10: tra gli altri, all’indù Kautilya , allo storico greco Tucidide e al persiano Nizamulmuk.

Il libro di Ferrari, poco conosciuto, ha due parti molto eloquenti: nella prima l’autore presenta una sorta di storia politica degli Stati, che mostra l’irresistibile attrazione dagli uni verso gli altri, in una dialettica di amico o nemico, spronata da ansia, paura ed emulazione, la seconda passa in rassegna l'esperienza intellettuale della ragion di Stato di quasi mille scrittori politici di tutti i tempi, della cui straordinaria precisione di conteggio (896) Ferrari si vanta. In essi scopriva che "il mondo ha sempre obbedito alle leggi [della politica], ignorate sempre e che la politica italiana ha intravisto sotto la forma assurda del precetto [ragion di Stato]"11. Ferrari, naturalmente, era consapevole del discredito della ragion di Stato nell'ambito della nuova politica fondata dalla (e sulla) Rivoluzione francese: "Non devo nascondere che parlo di una scienza occulta, uccisa dalla pubblicità moderna e solennemente proscritta dalla rivoluzione del 1789"12.    III Quando si parla di ragion di stato o quando si allude ad essa rivestendola degli attributi di una scienza dello Stato, si deve procedere molto cauti. La sua storia sembrava a Ferrari una collezione di errori13. La causa gli sembrava facile da discernere: anche se le nazioni obbediscono alle leggi inesorabili della politica, i filosofi non sono riusciti a coglierle con il pensiero. Sono sempre caduti nella trappola di generalizzare i casi particolari e momentanei. Ci sarà specie più volatile di una dottrina politica? Sembra il suo destino estinguersi in quei casi che cerca di spiegare. Tuttavia ci sono alcuni scrittori che, ammaestrati dalle circostanze e tormentati per ciò che Ferrari chiamava la loi de la douleur sono stati in grado di penetrare il mistero di una scienza positiva e umile14, disdegnando la "vana consolazione dell’errore"15. Parzialmente ispirandosi ad essi Ferrari ammette di poter superare la confusione che percorre la storia delle dottrine politiche, un groviglio di opinioni contraddittorie. Per uno spirito positivista come lo scrittore italiano la "ragione di stato si compie e si perfeziona quando illuminando il filosofo fa di lui un profeta"16.

Ferrari ha scritto a chiusura della sua storia della ragion di Stato un catechismo. Vi sottolinea, pessimisticamente, la natura ciclica della storia, "le cui età sono la ripetizione isocrona di quelle passate"17. Il fatto intellettualmente decisivo in politica è di sapere esattamente a che punto di questo ciclo ci si trova ed agire di conseguenza. Perché non è uguale se il ciclo è alla partenza, o nella fase finale. Secondo Ferrari il ciclo politico percorre sempre quattro fasi: la negazione dello status quo, quello della messa in opera di una soluzione, la reazione contro i cambiamenti introdotti e, infine, l’assestamento. Questa dialettica circolare è illustrata nella storia della Francia con i nomi di Robespierre (negazione), Napoleone (soluzione), Louis XVIII (reazione) e Napoleone III (assestamento)18. Credo che interessi molto di più del catechismo, che combina la casistica irriducibile dell'azione19 con la speranza che le perturbazioni politiche saranno controllate nel prossimo millennio, le opinioni dell'autore sulla natura della politica. Tutte delineano con tratto nitido, ciò che molti scrittori e politologi contemporanei chiamerebbe, senza alcuna difficoltà, il "realismo politico", un termine che si adatta come un guanto alla sua idea della ragion di Stato.

Il Credo realistico di Ferrari è scolpito in un fascio di dichiarazioni che non è difficile ridurre a un sistema di pensiero. Il suo discorso è ancorato in un giudizio, di brutale nichilismo, sulla natura dell'uomo: indifferente al bene e al male20. C'è una disuguaglianza radicale tra gli uomini, che, dice, sembra piacere in natura21. Gli individui ("l'essere umano automa") sentono l'inclinazione alla servitù22. Assioma delle comunità politiche è che ogni popolo vicino è un nemico23, e principio del governo la risolutezza del potere24. Ogni potere costituito è soggetto ad un processo circolare di erosione, degrado e rinnovo del principio del comando25. La politica è sottoposta a una legge generale di contrasti: governo e opposizione, monarchia e repubblica, imperi e federazioni, ecc.26.

IV Il realismo politico è uno dei temi inesauribili della scienza politica contemporanea. Questo, lungi dal chiarirne la natura, l’ha oscurata confondendone i presupposti con la retorica scientifica sull'esperienza politica generale. Sono passati più di sessant'anni da uno dei primi saggi sistematici di delucidazione del realismo politico. Alla distinzione tra i due atteggiamenti (politici) polari: il realista e l’idealista, ha dedicato proprio Edward H. Carr il suo famoso libro del 1939: La crisi dei vent'anni (1919-1939)27. I migliori passaggi, che non hanno perso interesse, sono proprio quelli che contengono tesi impossibili ad assimilare a postulati scientifici. Il suo rifiuto dell’intellettualismo in politica, tiranneggiato da una pericolosa "impazienza di evitare il concreto"28, la denuncia della presunta armonia degli interessi internazionali come dei pregiudizi contro la forza; e – del pari - la sfiducia verso gli interessi che le nazioni spesso presentano dietro la maschera del bene universale bastano ad identificarlo come un realista politico della stirpe di Machiavelli29. Così anche la sua certezza circa lo sfondo polemico di ogni politica; come la trascendenza della forza o la debolezza della moralità supposta transnazionale, ecc.

 Dopo la II Guerra Mondiale il realismo politico è diventato l'ossessione accademica di scrittori come Hans J. Morgenthau. Uno dei migliori modelli di questa mania scientifica si trova nel libro di Ashley J. Tellis, Introduzione al realismo politico, il cui sottotitolo dice: La Lunga Marcia verso la teoria scientifica30. Tellis31 postula la trasformazione del realismo politico in una teoria scientifica della politica e, di conseguenza, l'abbandono di ciò che chiama "empirismo ingenuo della tradizione politica". Se la politica diventerà una vera e propria disciplina accademica dipende da ciò. Giacché il "realismo politico, come scienza non ha ancora raggiunto il livello dell’economia politica dei primi anni '60"32. Dopo aver esaminato le concezioni di alcuni classici e moderni del realismo presenti in ogni lavoro di base, vale a dire: Tucidide, Machiavelli, Morgenthau, Morton A. Kaplan e Kenneth N. Waltz, Tellis esamina i limiti che in questi impediscono qualsiasi accesso ad una teoria generale della politica. Questo non è possibile, egli sostiene, fino a quando gli Stati non si riducono alle loro unità costitutive, gli individui. Il concetto di uomo realista nel contesto di una dottrina esplicativo-individualista consentirà una costruzione del continuum individuo - Stato - sistema internazionale33. Applicando il razionalismo critico si può forse spiegare il comportamento politico nei tre livelli stabiliti di analisi (individui, stati, sistema degli stati). La questione di fondo che non posso affrontare qui è l’utilità della lettura che questo tipo di scientismo, instillato in Europa dalla Political Science Nordamericana, fa degli autori della tradizione politica. Fenomeni come questo sono un riflesso all’inizio del cammino della saggezza politica34. Diceva non senza ironia Diez del Corral, consapevole di alcuni dei vizi che inesorabilmente accompagnano lo sviluppo della scienza della politica dopo la seconda guerra mondiale, che "in politica ci sono molte false scienze dei numeri primi"35.

In realtà vi è nella scienza politica contemporanea come una bilocazione che fa violenza all'oggetto stesso, ove la politica, che è attività di prudenza, sia sottoposta al rigore della razionalizzazione scientifica e tecnica. Come notato da Luis R. Oro, nell'atteggiamento del politico realista si trovano sempre due dimensioni, l’esistenziale e l’epistemica. Tuttavia, "la capacità di intravedere vagamente il profilo del futuro è più vicina alla concezione classica di conoscenza pratica che alla concezione positivista della scienza moderna"36. Il professor Oro, dell’Università del Cile, da diversi anni dedicatosi allo studio del realismo politico, che ha studiato limitandosi alla tradizione germanica della Realpolitik (Heinrich Treitschke, Max Weber e C. Schmitt)37, si avventura in una descrizione schematica del realismo, caratterizzata da una visione pessimistica della natura umana, l’insopprimibilità del conflitto, la centralità dell’equilibrio di potere e l'autonomia della politica38. Nel suo libro sopra “El poder: adicion y dependencia”, si completa la caratterizzazione del realismo politico, precisandone la natura induttiva, la prevalenza in esso dell'argomentazione storica (e non astratta) e la constatazione dei suoi sostenitori che né l'uomo né l’ordine politico obbediscono a padroni razionalisti39. Alessandro Campi, politologo presso l'Università di Perugia40, nell'introduzione al suo conciso studio su Schmitt, Freund, Miglio, si riferisce al realismo politico come ad una dottrina omogenea dal punto di vista di un metodo "che approva, aggiornandola criticamente, una tradizione di pensiero politico, soprattutto in Europa, il cui obiettivo fondamentale è quello di comprendere in termini scientifici (...) la politica e le sue manifestazioni storiche. " Questo sarebbe un metodo neutrale che comprende un’antropologia negativa (privativa), una concezione della politicità e il senso della storicità41.

V Il realismo politico non è una specialità scientifica politologica, credenza di James Burnham, per il quale il machiavellismo (machiavellism) costituiva la scienza oggettiva della politica42. Gli sforzi per adattarlo all'accademia ne consentono solo la considerazione, dopo tutto, come un campo di studio. Per prima cosa, il realismo politico non è una "scienza politica". Sono importanti queste parole di Raymond Aron: "Forse possono essere sottoposte ad analisi scientifica le massime di Machiavelli?43". Tantomeno si tratta di un "metodo" del sapere politico, ma su questo c'è ancora più confusione. Di questa corruzione è responsabile lo stesso Aron, almeno in parte, perché gli si deve proprio la formula che ha ridotto il realismo politico al "primato dell’osservazione sull'etica"44, da cui deriva una certa ossessione scientista per il metodo e la metodologia della scienza politica. La maschera cinica e scettica del realismo sarebbe talvolta, secondo il sociologo francese, il risultato più impressionante dell’osservazione, del metodo logico-sperimentale (Machiavelli, Pareto) e dello studio della storia45.

Il realismo politico non si riduce, d’altra parte, ad un atteggiamento in contrasto con l'idealismo. Questa contrapposizione banale è una grossolana manipolazione del linguaggio. Dato che l'idealismo vero, definito come profondità di veduta, elevazione spirituale o patriottismo, compresa la subordinazione degli interessi particolari agli obiettivi generali, non può essere estraneo alla concezione del realista politico: al di là della mediocrità quotidiana deve saper distinguere in politica una visione di convivenza ordinata e pacifica. Il vero realista, Campi afferma apoditticamente, "è generalmente un idealista e un uomo di principi"46. L'archetipo dell’uomo realista si completa con queste note: è raro che è uomo di potere, anche se per caso possa essere un politico fallito o deluso. Il realista ha un carattere sospettoso e anticonformista, tempra di storico (anche quale archeologo dei fatti politici) e abitudini di uomo vinto e marginale (sul piano politico-esistenziale)47.

Questo, non a caso, è legato al topos che assimila erroneamente realismo politico e pessimismo, come se l'antropologia della pericolosità dell’uomo e non tanto della sua malvagità, escluderebbe la possibilità di proiettare nella storia un modo di essere uomo considerato prezioso. Il pessimismo genuino è talvolta quello di coloro che rifiutano la natura umana e corrono verso paradisi artificiali. Infine, il realismo politico non è sinonimo di machiavellismo, perchè questo ultimo, in senso proprio, cioè come tramandato dalla tradizione politica, si riduce a mera visione tecnica dell'azione di governo48. Realismo politico è, in effetti, machiavellismo, ma lo trascende nel suo senso globale, perchè rappresenta molto di più. Infine, una definizione negativa del realismo politico, come discusso qui, deve separarlo anche dal cinismo che è un falso realismo, e dall’amoralismo. VI Il realismo politico, terminologia denotativa del "punto di vista politico", è un atteggiamento (atteggiamento)49, predisposizione o archetipo mentale (forma mentis), il modo naturale del pensiero politico50. Non può essere del tutto casuale che talvolta la vista si presenti nella tradizione politica, con l’udito, come il più politico dei sensi dell'uomo51. "L'occhio è un antico geroglifico per la sorveglianza"52 Per il sapiente del III secolo cinese, Han Fei Zi, l'attributo principale del principe è il silenzio; permettendogli di "[essere] come non essere, infinito, nessuno sa dove si trova. Sarebbe sopra senza operare", segretamente ascoltando i suoi ministri. Han Fei Zi propose al suo pupillo, il re di Qin, una politica la cui chiave era "vedere sembrando di non vedere, sentire sembrando di non sentire, sapere sembrando che non si sappia"53

In definitiva, il realismo politico non è una dottrina qualsiasi, ma solo una mediazione dell’intelligenza politica tra metafisica e storia54, tra teoria e azione storica55. Così, devono confluire nella politica, e sempre da posizioni complementari, il saggio, sia chiamato consigliere o esperto, e il politico o lo statista, ambedue corroborando comprensione e volontà col giudizio della prudenza politica. Perchè la politica, contrariamente a quanto suggerito dalla maggior parte dei trattati moderni di Scienze Politiche non è materia di insegnanti, ma di persone sagge ed esperte. Nello stesso senso che si può dire dei trattati di economia politica che poco o nulla hanno da insegnare a un puro imprenditore: l'imprenditorialità. Su ciò (entrepreneurship) ha preziose intuizioni Israel M. Kirzner: non è un semplice processo di funzionamento calcolabile matematicamente né una funzione derivata dalla Econometrics o di ciò che Joseph A. Schumpeter chiamò economic analysis56. Questo non significa, tornando alla politica, che la scienza che ne tratta non sia "sempre", come ha sottolineato Miglio. "una forma di potere ancorché minore"57.

Non è difficile denunciare il governo di un principe o un consiglio dato da ministri: questo lo può fare qualsiasi spirito volgare abituato alle critiche. Anche se c’è un interesse per discutere l'opportunità di una misura particolare, ciò che trascende è sempre la decisione che la mette in opera, dato che talvolta chi decide può rischiare la vita stessa. Questo rischio certamente porta le decisioni politiche sul piano della serietà dell’esistenza58, contro il quale risalta il carattere provvisorio di qualsiasi posizione di potere. Anche se, come suggerito da Schmitt e, con altre parole, da Bertrand de Jouvenel, "il potere è una grandezza oggettiva, con le sue proprie leggi, nei confronti di qualsiasi individuo umano può detenerla" c'è una debolezza intrinseca nel potere incarnato in un uomo: "il potente] ancora, dopo diverse ore di lavoro o servizio si stanca, e si addormenta. Così, anche il terribile Caracalla e l'onnipresente Gengis Khan avrebbero dormito come bambini"59. Si capisce così meglio come la politica, anche in tempi democratici, presenta la figura di una grande Orestiade60. In definitiva, l'uomo privato (particolare), senza appetiti politici non può capire la tragica passione umana per il potere. Nelle sue Massime di re e generali Plutarco descrive un successo politico della tirannia di Dionisio il Vecchio. Mi sembra istruttivo: "Quando all'inizio della sua tirannia fu assediato [Dionisio] per aver cospirato i cittadini contro di lui, i suoi amici gli consigliarono di abbandonare il potere, altrimenti sarebbe stato vinto e ucciso. Ma vide che un cuoco sgozzava un toro e questo cadeva in fretta, e disse: Non sarebbe sgradevole che noi per paura della morte che è così breve, abbandonassimo tanto grande potere?61

Ha parlato della divergenza tra filosofo politico (e uomo politico) statista Raymond Aron: a volte, l'intellettuale si mostra con orgoglio nella sua irresponsabilità62, perché è "estremamente difficile passare da una pretesa filosofica o storica all'azione63". L'intellettuale, schiuma della politica, appena si mette in gioco e, come consigliere o esperto, ha un destino burocratico: che cosa allora vi consiglierà il più irresponsabile dei poteri indiretti? Molto più spiacevole è il parere del realista politico Callicle, che censura Socrate quando si tratta di sostenere che la filosofia [politica] è occupazione "ridicola" in un adulto: "non c'è vergogna nel filosofare da giovane, [ma] quando vedo che qualcuno più vecchio filosofeggia, uno così finisce per comportarsi come un mezzo uomo, anche se ha ottime doti: perché evita i luoghi d’incontro e le assemblee dove – come dice Omero - «gli uomini si mettono in vista»; e passa tutto il resto della vita acquattato in un angolo, a confabulare con tre o quattro ragazzini, senza mai fare un discorso coraggioso, potente, significativo"64.

Di tutti questi scrittori, studiosi e pensatori, politici, sia giuristi che ideologi, opportunisti e corrotti, forse, i soli che interessano per una ricerca sul realismo, probabilmente sono quelli che si sono bruciati nel rogo della politica, per rimuginare poi post festum, la sconfitta. In esilio o in carcere. Dopo tutto, la Politica è un sapere (saber) di crepuscoli65.

La politica, anche se viene neutralizzata da scientismo o da pregiudizi accademici, non si ferma né riposa. Vi è, inoltre, una neutralizzazione politica irreversibile66. Depoliticizzare una nazione, con la forza o senza non significa che la politica perde il proprio posto, ma che si sarà persa in ogni caso, come ricordato da Schmitt ne “Il concetto del politico”, la nazione in questione. Così il saggio, che sia o non sia consigliere, e il politico, hanno una massima responsabilità sociale, in quanto la loro azione si ripercuote sulla comunità, l'ordine pubblico, la grandezza della patria o, perché no sulla distribuzione di potere tra uomini che si affrettano ad un Katzbalgerei. "Alles nur Katzbalgerei", diceva Scharnhorst della politica. Questa, con versamento di sangue o senza, al generale prussiano sembrava una rissa volgare, un tumulto apparentemente senza un oggetto preciso67. Mi basta dire qui sbozzata l’indagine sulla finalità della politica68, di interesse non solo per studiare la ragion di Stato, ma anche a quello del politico.

VII Lo studio della ragion di Stato e delle dottrine che si sovrappongono o si confondono con essa consente di impostare, da un punto di vista naturalista (realismo politico), una caratterizzazione generale della politica: caratterizzazione trascendentale, nel senso in cui Fernandez de la Mora69, una figura centrale nel realismo politico ispanico, si riferiva all'oligarchia come forma trascendentale dei governi, o di Miglio70, maestro della scienza politica italiana, alle regolarità della politica o "verità parziali", di cui testimoniano i grandi scrittori politici da Tucidide ("la regolarità [italiano nel testo] del dominio") Schmitt ("la regolarità [italiano nel testo] della contrapposizione amicus-hostis")71. Presentare o delineare una politica trascendentale non è, tuttavia, un compito senza rischi, non ultimo tra essi l’occasionalismo o la natura puramente circostanziale di ciò che, in un dato momento storico, assumiamo con fiducia come categoria o forma della politica. Così, il monopolio statale sulla politica, che dura da circa cinquecento anni, tarpa(in parte) le ali alla dottrina schmittiana del criterio della politica, e a quella dell'essenza del politico, condotta con grande rigore intellettuale da Freund per venti anni. Schmitt e Freund, in questo senso, sono ancora due spiriti statalisti (étatistes), non nel senso convenzionale o volgare di coloro che approvano e difendono lo stato sociale o lo sviluppo dello Stato interventista, ma di coloro che hanno costruito una rappresentazione di politica che gravita sullo Stato "als ein konkreter, an eine geschichtliche Epoche gebundener Begriff"72.

La pretesa di questa introduzione alla Ragion di Stato dev’essere necessariamente modesta. É impossibile ora portare a termine una ricerca esaustiva degli elementi che costituiscono la mentalità politica realista: il primato storico del politico; le distinzioni tra politico e Stato e tra Stato e governo; l’agnosticismo quanto alla forma di governo, e così via. Valga come anticipo di ciò, in questa introduzione, che rimane necessariamente come progetto, un appunto sopra il riconoscimento del nemico.

VIII

Il riconoscimento del nemico, reale o potenziale e del pari la designazione della comunità politica che ti fa oggetto della sua ostilità, è il connotato distintivo di ogni pensiero politico realista. “Guai a chi non sa chi è il suo nemico” non è solo un’espressione ad effetto, ma la più amara delle profezie politiche. Da tale esperienza elementare si deduce il modo di condursi in politica: con il nemico ci si muove contrattando, lo s’inganna e si polemizza; con esso si negoziano le controversie; si combatte il nemico sulle sue posizioni, cercando di sottometterlo; nei suoi confini si semina la discordia, se ciò conviene al nostro interesse73; infine se occorre lo affrontiamo apertamente, perché non c’è alternativa, una volta aperte le ostilità.

Però al di là del confronto armato tra nemico e nemico “la politica (esige) che gli odi non siano eterni”74.

Non solo con amici e alleati si deve far politica, ma innanzi tutto col nemico, perchè in lui sta “l’incarnazione della nostra propria questione”. “ Attenzione, dunque : Non parlare con leggerezza del nemico” scrive Carl Schmitt in Ex captivitate salus. Ci si definisce per i propri nemici. Ti collochi in una certa classe, perché ti riconosci nell’inimicizia”75. E’ la lezione della politica eterna76 scritta da antichi e moderni77.

La conversione di amici in nemici o da nemici ad alleati riempie di pagine suggestive la Storia della guerra del Peloponneso descritta da Tucidide nel V° secolo a.c.78. Più di un millennio dopo, Alamos de Barrientos, nel suo memoriale al Re di Spagna, si sforzava nel distinguere, con criteri sicuri , tra neutrali, amici e nemici, potendo quest’ultimi essere pubblici o segreti79.

Per Alamos e la maggior parte dei giuspubblicisti (publicistas) barocchi spagnoli, l’azione politica consiste in primo luogo nel riconoscimento di chi sono gli amici e i nemici, distinzione che sembrava essere un’espressione usuale nel Siglo de oro80. Per questo potè scrivere “non c’è nulla di peggiore, né causa di maggior disprezzo in un principe di essere trascurato nel riconoscimento, nel favore o nel disfavore dei suoi amici e nemici”81. “Questa opposizione”, conclude Schmitt, “continua ad essere in vigore ed è considerata come possibilità reale per ogni popolo che esista politicamente”82.

Jeronimo Molina Cano

(traduzione di Teodoro Klitsche de la Grange)

1 F. Meinecke, L'idea della ragion di Stato nell’età moderna, trad. it. Firenze, rist. 1984
2 Una sintesi di questo processo v. in L. Diez del Corral, Obras completas, Madrid 1998.
3 Ha notato Javier Conde che il veramente trascendentale non è lo status politico naturale dell'uomo, puro dato di natura, ma che l'uomo è destinato ad avere un’esistenza politica. Questa suggestiva antropologia politica in J. Conde, El hombre, animal politico, Madrid 1957.
4 M. Albuquerque, Maquiavel e Portugal, Lisboa 2007.
5 G. di Ujué, Saavedra Fajardo, catòlico de Estado, in Empresas Politicas No. 9, 2007.
6 C. Schmitt, Sull’idea della ragion di Stato di F. Meinecke, in Empresas politicas, No. 9, 2007, p. 84. La nozione di Stato ha, come uno dei suoi significati, quello di opporsi al privato e all’economico. Essendo un concetto statico (in suo esse perseverari), perde completamente il suo significato, secondo Schmitt, ad imporle alla lettera l’ordine dinamico di cui alla teoria pluralista di Harold Laski. C. Schmitt, ibidem.
7 Qualcosa di simile sembra dedursi anche dalla premessa di A. Campi, Schmitt, Freund, Miglio. Figure e temi del realismo politico europeo. Firenze 1996, p. 9. Molto più chiaro, qualche anno più tardi, in Il ritorno necessario della politica. Roma 2002, p. 28: "Ragion di Stato (Altro modo per dire realismo)".
8 Alla base di questa ricca tradizione, mediata dai manuali dei principi medievali, vi sono opere come Massime di re e generali, di Plutarco, dedicata all'imperatore Traiano "se contiene qualcosa di utile per una corretta comprensione dei caratteri e dei gusti dei governanti". Cfr. Plutarco, Opere morali e di costume.
9 G. Ferrari, Histoire de la raison d'Etat, Paris 1860, p. V. Nuova edizione: Paris 1992. Günter Maschke ha richiamato la mia attenzione sul valore di questo libro e la freddezza politica del suo autore. Su Ferrari, si veda: Silvia Rota Ghibaudi, Giuseppe Ferrari. L'Evoluzione del Suo pensiero (1830-1860), Firenze 1969.
10 Sull’archetipo politico del “sapiente”, pendant contemporaneo dei consiglieri dei principi: v. J. Conde, Misiòn politica de la inteligencia, in Revista de Estudios Politicos, No. 51, 1950.
11 Vedi G. Ferrari, op. cit., p. VIII.
12 Vedi G. Ferrari, op. cit., p. X.
13 Vedi G. Ferrari, op. cit., p. 224. Gli errori, dice lo scrittore italiano nella stessa pagina, fanno la storia, ma non la verità, che è qualcosa di indiscutibile.
14 "Perché tanta incertezza in una scienza così limitata, così positiva e, può dirsi, così umile ?”. Vedi G. Ferrari, op. cit., p. 222.
15 Vedi G. Ferrari, op. cit., p. XI.
16 Vedi G. Ferrari, op. cit., p. 410.
17 Vedi G. Ferrari, op. cit., p. 415.
18 Vedi G. Ferrari, op. cit., p. 214, 216 e 411
19 “Non ci sono regole fisse per preferire di essere amato o temuto, il silenzio alla discussione, le bugie alla sincerità, la crudeltà alla clemenza, e così via. Infatti, come affermato altrove” (Op. cit, P. VIII), ciascuna massima genera la massima politica opposta: "ciascuna massima si accompagna alla contraria, se l’una consiglia la clemenza, l’altra il terrore". Non ci sono valide soluzioni in anticipo, considerate astrattamente le circostanze.
20 V. G. Ferrari, op. cit., p. V.
21 V. G. Ferrari, op. cit., p. 1.
22 V. G. Ferrari, op. cit., p. 43. Cfr. Il classico di de la Boétie, Discorso della servitù volontaria o contro uno, Macerata 2005.
23 V. G. Ferrari, op. cit., p. 11. "Guardate i vostri vicini come nemici".
24 V. G. Ferrari, op. cit., p. 23. "É sempre all’arbitrio che si domanda la salvezza".
25 V. G. Ferrari, op. cit., p. 33-35. L'idea che vi sia un decadimento senza fine e una rigenerazione infinita di potenza è stato discusso da G. Miglio. Vedere le sue note "Pluralismo" e "Monocrazia" ne Le regolarità della politica. Scritti Scelti, pubblicati raccolti dagli Allievi, t. II. Giuffrè, Milano, p. 647-650 e 1081-1094.
26 V. G. Ferrari, op. cit., p. 68-69.
27 Catarata, Madrid 2004. Il lavoro di Carr trae spunto dal fallimento dell’ utopia wilsoniana per l'Europa: "il razionalismo può creare una utopia, ma non può renderla reale. Le democrazie liberali seminate in tutto il mondo dall'accordo di pace del 1919 erano il prodotto di teoria astratta, non misero radici e appassirono in fretta. "Vedi E. H. Carr, op. cit., p. 67.
28 Vedi E. H. Carr, op. cit., p. 69.
29 "Machiavelli è il più importante realista politico." Vedi E. H. Carr, op. cit., p. 109.
30 Marco Editore, Roma 2005.
31 Ashley J. Tellis è stato ricercatore presso la Random Corporation e consulente del Dipartimento di Stato USA. Attualmente è Senior Associate al Carnegie Endowment for International Peace and Research.
32 Vedi A. J. Tellis, il realismo politico Introduzione al realismo politico, p. 121.
33 Vedi A. J. Tellis, op. cit., p. 123-124.
34 Lo spazio da cui sono stati sfrattati Staatswissenschaften o in Spagna, il diritto politico è stato riempito automaticamente da varie discipline di scienza politica: teoria politica, scienza politica positiva, analisi delle politiche pubbliche, relazioni intergovernative, teoria costituzionale, diritto costituzionale. In Spagna, fino agli anni '80, ciò che si chiamava “Derecho politico” includeva l'enciclopedia completa di questa conoscenza. La comprensione si è poi persa nel "mare senza sponde della scienza politica", come ricordava l'insegnante Murcia Rodrigo Fernandez-Carvajal. Vedi R. Fernandez-Carvajal, El lugar de la ciencia politica, Servizio Pubblicazioni dell'Università di Murcia, Murcia 1981.
35 "La specializzazione, orizzonti ristretti", conclude, "è difetto fondamentale nel trattamento scientifico moderno delle questioni politiche." L. Diez del Corral, Obras, p. 520.
36 Vedi L. R. Oro, "En torno a la nocion de realismo politico", No. 10, 2009, p. 40.
37 Vedi L. R. Oro , op. ult. cit., p. 19. Nonostante il suo prestigio intellettuale, la Realpolitik è una tra le possibili concettualizzazioni, loc. cit., p. 18. Oro ha cercato di distinguerlo concettualmente dal Machtpolitik, con la quale viene spesso confusa: su questo cfr L. R. Oro, El poder: addicón y dependencia. Brickle, Santiago, Cile 2006, p. 95-107.
38 Vedi L. R. Oro, op. ult. cit., p. 43.
39 L. R. Oro, op. cit., p. 21-24.
40 A. Campi è il direttore delle collane sul realismo Il Principe (Antonio Pellicani Editore) e Realismo politico (Marco Editore), successore del precedente.
41 Vedi A. Campi, Schmitt, Freund, Miglio, pag. 10-11. Altre puntualizzazioni di Campi, v. nel suo libro già citato Il ritorno necessario della politica, pp. 27-30. Campi ricorda che il realismo politico non è tutto "coerente e organico. Ci sono, nella migliore delle ipotesi, realisti per temperamento e mentalità, ma non c'è realismo come scuola corrente o come metodo ".
42 Vedi J. Burnham, Los maquiavelistas, Emecé, Buenos Aires 1953, p. 259-265.
43 Vedi R. Aron, Paix et guerre entre le nations. Calmann-Levy, Paris 2004, p. 753.
44 Vedi R. Aron, Essais sur le machiavélisme moderne in Machiavel et les tyrannies modernes. Paris 1995, p. 63.
45 Vedi R. Aron, Essais sur le machiavélisme moderne, op. cit., p. 121.
46 Vedi A. Campi, Il ritorno necessario della politica, p. 28.
47 Vedi A. Campi, op. ult. cit., p. 29.
48 Per evitare questa ambiguità tra gli altri, Julien Freund soleva distinguere tra machiavellismo e maquiavellianismo. Vedi J. Molina, "Julien Freund, Del realismo politico al maquiavelianismo ", in Atti della Facoltà di Scienze Sociali, Università Cattolica di La Plata, 2004, p. 11-24.
49 Lo dice anche R. Aron, Essais sur le machivélisme moderne, op. cit., p. 120. Si noti che in questa raccolta di scritti è racchiuso tutto il processo mentale che ha portato il suo autore alla rivendicazione di un machiavellismo moderato dall’Affekt anti- machiavellico degli anni ‘30. Cfr. R. Freymond, "Presentazione", in R. Aron, Machiavelli et les Modernes tirannies, p. 46-54 e J. Molina, La politica e la sua cupa grandezza. Note sul realismo politico di Raymond Aron, Enfoques. Ciencia politica y Administración pública, No. 10, 2009.
50 Cfr. D. Nero Pavon, Modos del piensamento politico, in Atti della Reale Accademia delle Scienze morali e politiche, No. 73, 1996.
51 Vedi D Saavedra Fajardo, Idea de un principe politico cristiano representada en cien empresas (Empresas politicas). Chair, Madrid 1999, v. le imprese 7, 8, 51 e soprattutto 55 e note del curatore, Sagrario López Poza.
52 Lo ha sottolineato S. López Poza in D. Saavedra Fajardo, op. cit., p. 645, nota*.
53 Vedi Han Fei Zi, El arte de la politica. Tecnos, Madrid 1998, p. 10-11. Anche se questa è un'edizione molto abbreviata di un classico del realismo politico poco frequentato (Die Kunst der Staatsführung. Die des Meisters Schriftens Han Fei. G / F Libri, Kiepenheuer 1984) è ricca di passaggi che accreditano l’appartenenza spirituale del maestro cinese, che soffrì nella sua persona la loi de la douleur: l'esilio, il tradimento al suo paese e morì in prigione. Si veda lo studio preliminare di P. San Gines ad Han Fei Zi, op. cit., p. XII-XIV. Fei Zi dice: "Non c'è un sol stato che sia forte o debole per sempre" (op. cit. p. 15), "si deve governare secondo le tendenze degli uomini" (op. cit,. p 117); "né giustizia, né benevolenza, né la saggezza né l'oratoria sono metodi appropriati per la conservazione degli Stati. La forza sì" (op. cit., p. 142), “un monarca regnante ha un solo compito [...] fare della sua terra una terra ricca e del suo esercito un esercito forte e poi attaccare i nemici nei loro punti deboli "(op. cit., p. 153). Etc.
54 Cfr. J. Freund, L'essence du politique. Sirey, Paris 1986 p. 756-759.
55 Cfr. R. Aron, Introduction à la philosophie de l'histoire. Gallimard, Paris 2002.
56 Questa analogia tra il pensiero economico e politico, essendo naturale, non è forzata, né improvvisata. Non sorprendentemente, il nome moderno del sapere economico, dal momento che ha coniato il termine Antoine Montchrestien, era "economia politica", che è sufficiente per dimostrare la sua vicinanza con il resto della conoscenza politica. Vedi J. Freund, L'essence de l'économique. Presses Universitaires de Strasbourg, Strasburgo 1993. Cfr. I. M. Kirzner, The economic point of view. An essay in the history of economic thought. Van Nostrand Company, Princeton 1960, e J. A. Schumpeter, Historia del Análisis económico. Ariel, Barcellona 2004.
57 Vedi G. Miglio, Le categorie del politico in Le regolarità della politica, vol. II, p. 599. Cfr. C. Schmitt, Dialogo sul potere e l'accesso al potente, trad. it. di A. Caracciolo in “Behemoth” n. 2.
58 Sulla serietà politica, definita come coerenza di principi e azioni, e anche come gravità di pensiero e di azione, vedi passaggi di A. de Oliveira Salazar, Como se levanta um Estado, Atomic Books, Lisbona 2007, p. 25-28. Eppure, "la gravità della vita non è necessariamente il peso della tristezza, dello scoraggiamento o del pessimismo".
59 Vedere C. Schmitt "Dialogo sul potere e l'accesso al potente", loc. cit., Cf B. de Jouvenel, Du pouvoir. Histoire naturelle de sa croissance. Hachette, Paris 1994. Per una critica di queste concezioni oggettivizzanti del potere J. Conde, El hombre, animal politico. Reale Accademia delle Scienze morali e politiche, Madrid 1957
60 Vedi E. Giménez Caballero, Manuel Azaña. Profecías españolas. Turner, Madrid 1975, p. 15-20.
61 Cfr. Plutarco, Obras morales y de costumbres. Moralia. III, cit. p. 27.
62 Vedi R. Aron, Le spectateur engagé. Julliard, Paris 1992, p. 47.
63 Vedi R. Aron, op. ult. cit., p. 196. Si veda anche il ricordo della sua conversazione con il Sottosegretario del Ministero degli Affari Esteri, Joseph Paganon: R. Aron, Mémoires 50 ans de politique réflexion. Julliard, Paris 1983, p. 59.
64 Vedi Platone, Gorgia, in Protágoras. Gorgias. Carta séptima. Alianza Editorial, Madrid, 2006, p. 186-187 (485 a-e).
65 Di crepuscoli storici o epocali, senza dubbio, ma anche biografici. Due esempi arbitrariamente ristretti al XIX secolo: Talleyrand, Mémoires et correspondences. Robert Laffont, Parigi 2007. Bismarck, Gedanken und Erinnungen [secondol'edizione in unico volume di Knaur Verlag]. Droemersche Verlagsanstalt, Monaco di Baviera 1952. Una riflessione struggente sul fallimento politico, senza palinodie, v. in C. Schmitt, Ex captivitate salus. trad it. Adelphi Milano 1987.
66 Vedere C. Schmitt, "L’epoca delle neutralizzazioni e delle spoliticizzazioni" trad. it. ne Le categorie del politico. Bologna 1972.
67 Vedi G. Maschke, "Ein Problem, das ist nie zu lösen ist", prefazione a P. Kondylis, Machiavelli. Akademie Verlag, Berlin 2007, p. XIII.
68 Non ha contribuito a chiarirla, ma al contrario, la chiosa di Aristotele con la quale Julien Freund ha chiuso l'indagine sull'essenza del politico. Non è strano che un consumato realista, compagno di cella di Machiavelli, abbia preconizzato per la politica uno scopo specifico? Sébastien de La Touanne risolve da solo l’aporia Machiavelli o Aristotele?: Freund sarebbe machiavellico nel metodo e aristotelico nella concezione della politica. Vedi S. La Touanne, Julien Freund, Penseur 'machiavélien' de la politique. L'Harmattan, Paris 2004. Vedi P.-A. Taguieff, Julien Freund. Au coeur du politique. La Table Ronde, Paris 2008, p. 140.
69 Vedi J. Molina, "El realismo politico de Gonzalo Fernandez de la Mora" in Co-herencia. Revista de humanidades, IV, No. 6, 2007.
70 Vedi A. Campi, "La politica oltre lo Stato. La sfida politologica di Gianfranco Miglio", in Schmitt, Freund, Miglio. Figure e Temi del realismo politico europeo, p. 113 e ss.
71 Vedi G. Fernandez de la Mora, "L'oligarchia, forma trascendentale di governo", in Anales de la Real Academia de Ciencias Morales y Politicas, No. 53, 1976 e G. Miglio: "Le categorie del politico", op. cit., p. 600.
72 Vedere C. Schmitt, ​​in Veintiuno, No. 39, 1998.
73 V. Ch. de Gaulle, La discorde chez l’ennemi, in Le fil de l’epée et autres ecrits. Plon, Paris 1999. Il capitolo I del libro Xi dell’Arthasastra si occupa dei mezzi per “seminare la discordia” e “creare dissensi nel campo nemico”. V. R.P. Kangle (Ed.), The Kautilya Arthasastra, t. II. Motilal Banarsidasss, Delhi 2003, pp. 454-459.
74 Vedi Plutarco Solone
75 C. Schmitt, Ex captivitate salus, Milano 1987, p. 92.
76 V. J Freund L’éternelle politique, in Paysans, v. 20, n. 120, 1972.
77 Sulla resistenza storica del nemico e dell’ostilità politica, di seguito a Schmitt, v. G. Maschke, “Amigo y enemigo: Kautilya e Alamos de Barrientos, anticipadores del criterio schmittiano”, in Empresas politicas, n. 4, 2004 e S. Echevarria Yepes, “Momentos del enemigo. Algunos antecedentes clàsicos de la distincion politica de Schmitt” in J. Giraldo y J. Molina (Ed.), Carl Schmitt: Derecho politica y grandes espacios. universidad EAFIT / Societad de Estudios Politicos de la Region de Murcia, Medellin / Murcia 2008.
78 Tucidides; Storia della guerra del Peloponneso.
79 B. Álamos de Barrientos, Discurso politico al rey Felipe III al comienzo de su reinado. Antrophos, Barcelona 1990.
80 Tuttavia gli esempi non sono solo ispanici. In Les six livres de la République (1576) distingue Bodin tra “briganti e corsari” e “diritti del nemico in guerra”. Fayard, Paris 1986, vol. I, p. 28.
81 B. Álamos de Barrientos, Aforismos al Tácito español (1614), t. II. C.E.C., Madrid 1987, p. 790.
82 V. C. Schmitt Der begriff das politischen trad. it. cit. ne La categorie del politico, Bologna 1972, pp. 154-155. J. Molina, “Le refus d’admettre la possibilité de l’ennemi”, in B. Dumont, G. Dumont e C. Réveillard (Dir.), La culture du refus de l’ennemi. Moderatisme et religion au seuil du XXI siècle. Presses Universitaires de Limoges, Limoges 2007.


Pubblicazione del: 25-07-2012
nella Categoria Filosofia Politica e del Diritto


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