SULL'UNITÀ RELIGIOSA IN EUROPA-LOUIS DE BONALD-Vol.-51-   Stampa questo documento dal titolo: . Stampa

Louis de Bonald

Sull'unità religiosa in Europa ()

(luglio 1806)

La filosofia, per prima, ha riannodato i fili di un dibattito che sembrava chiuso. L’Istituto di Francia, proponendo, l’anno passato, come tema di un premio, il problema dell’influenza della Riforma di Lutero sulla situazione politica nei differenti Stati europei, non solo ha riportato alla pubblica attenzione alcuni argomenti che, da tempo, non potevano essere affrontati senza tema di essere tacciati di scarsa filosofia, o, forse anche di qualcosa di peggio; ma ha indicato il punto di vista sotto il quale oggi tale argomento può essere riconsiderato.

Questa celebre Istituzione non è senza dubbio un tribunale della religione e della politica, come viene gentilmente definita dall’autore dell’Essai1 che ha coronato. Ma, collocata vicino al governo e alla fonte dell’Illuminismo così come a tutti i grandi progetti, essa ha giudicato che la Riforma iniziata da Lutero, dopo essere stata sin dalla nascita, e nei suoi progressi, legata da vicino alla politica europea, non poteva restare estranea agli eventi pubblici, che oggi prendono un nuovo e decisivo corso. E, nel momento in cui i governi della Cristianità si innalzano dappertutto alla dignità dell’ordinamento monarchico, è saggia politica considerare quali dovrebbero essere in avvenire i loro rapporti con il regime popolare o di religione presbiteriana: pensieri altamente filosofici, degni sicuramente di fissare gli sguardi dei depositari dell’istruzione pubblica e il cui sviluppo può preparare gli spiriti ai cambiamenti politici di concerto con la religione, soprattutto nei paesi che sono stati la culla della Riforma luterana e dove questa è ancora la religione principale.

L’Istituto, proponendo questo delicato tema, si esponeva al pericolo di fraintendimenti. Non ha potuto evitare questo scoglio; è come se avesse voluto, per un imprudente richiamo alle discussioni religiose, riaccendere fuochi mai spenti, o far rivivere opinioni superate: le opere che hanno riportato o discusso il premio, almeno quelle delle quali è venuto a conoscenza il pubblico hanno tutte, mi sembra, e anche alcune con esagerazione e puntigliosità, rilevato i vantaggi veri o presunti dei quali la società ha usufruito grazie alla Riforma di Lutero. L’Istituto, obbligato a pronunciarsi, non ha dovuto quindi scegliere tra considerazioni opposte sull’influenza del luteranesimo e non ha potuto scegliere tra talenti differenti. Ma non per questo non ha raggiunto il suo fine e, sicuramente, premiando l’ opera che forse ha svolto la disamina più approfondita sui vantaggi di questa influenza. L’avvenimento religioso e politico più memorabile dai tempi moderni, è stato rimesso sotto gli occhi del pubblico, attraverso l’autorità del primo corpo letterario dell’Europa: ha permesso di considerare gli effetti della Riforma senza esporsi ad alcun rimprovero; e la politica ha potuto, a sua volta, esaminare queste opinioni tempestose che la teologia aveva discusso nei suoi principi.

Grazie dunque all’Istituto per aver pensato tutto quello che è importante nell’ordine pubblico, e dato l’impulso ad una filosofia altrettanto avanzata quanto la nostra; e che, quando un grande popolo, sedotto dal gusto delle arti, e anche dalla gloria delle armi, sembra disposto a conservare nell’età matura i gusti frivoli della giovinezza, è allora che i suoi anziani e i suoi saggi lo devono riportare ad argomenti seri, a pensieri forti e gravi, che formano il genio di una nazione, decidono il suo carattere, e possono soli meritare alla nostra l’onore di essere il modello dell’Europa per la sua ragione, come ne è arbitro attraverso la forza.

E certo sarebbe un mestiere inutile per la società la nobile professione delle lettere, se le lettere non avessero come oggetto che di esercitare i piaceri o divertire l’ozio degli altri. Metto a più alto prezzo l’onore di coltivarli; e, senza esagerare né diminuire la loro importanza, senza credere che danno diritto al dominio, ancor meno all’infallibilità e neanche all’indipendenza, penso che si elevano a tutta l'altezza della loro dignità naturale solo quando abbracciano i grandi interessi della società. Sarebbe stato giusto riconoscere che i letterati dell’ultimo secolo hanno indirizzato - molto di più di quelli dei secoli precedenti - i loro studi e i loro lavori verso soggetti legati all’ordine politico; e non vi è dubbio che la società ne avrebbe tratto grande vantaggio se gli scrittori “posseduti dalla mania dell’antico” – come dice Leibniz – non avessero preso come base delle loro teorie politiche i sistemi popolari dei governi dell’antichità; e, troppo spesso, i sogni della loro immaginazione.

Senza dubbio, colui che approfondisce seriamente i grandi problemi della religione o della politica, cessa presto di credere alle opinioni indifferenti; ma, nello stesso tempo, impara, attraverso gli sforzi stessi che fa per istruirsi, quanto poco separa, nei nostri deboli spiriti, un’opinione dall’opinione opposta; e non è più disposto a tollerare, tra le altre cose, pareri che non concordano con quelli che ha abbracciato. La verità è una, ma gli spiriti sono differenti; e il frutto di ogni solida istruzione deve essere tanto la benevolenza oltre tutti gli uomini, quanto la luce che fa discernere la verità …

L’autore dell’Essai, che voleva innalzare un’opinione e screditare l’opinione contraria, ha potuto permettersi un po’ di esagerazione: il tema che tratto mi consiglia più moderazione al riguardo. Se la Riforma è stata un bene, come pretende, è ancor più certo che l’unità è meglio; e penso, con questo scrittore che, lungi che il meglio sia nemico del bene, è sempre al meglio possibile, ovvero alla perfezione, che gli uomini devono tendere, perché solo lì possono fermarsi, seguendo l’ordine che hanno ricevuto dal Maestro supremo di tutti gli uomini che ha detto loro di essere perfetti: perfecti estote.

Entro dunque nel pensiero dell’Istituto, e meglio, credo, di quelli che mi hanno preceduto nello stesso percorso. Non sottolineo i vantaggi dello Scisma Luteriano, che potrebbe essere una tesi contestata, ma quelli di far sentire l’inconfutabile necessità della riunificazione dei cristiani. Lascio alla teologia il compito di riflettere sui dogmi della Riforma e mi limito a considerare, nella situazione politica attuale, le occasioni vantaggiose che presenta per giungere all’unità del cristianesimo. E se fossi abbastanza fortunato da convincere gli uomini illuminati e senza passioni, rari in tutti i partiti, avrei ottenuto un premio, l’unico al quale mi è permesso ambire e che sarei orgoglioso di ottenere.

Da quando la società cristiana si è divisa in più professioni di fede, tutte hanno fatto lo sforzo di riunirsi; perché la divisione è uno stato di morte per la società che, considerata nel suo ordine morale, è l’unione degli esseri intelligenti nella loro mutua perfezione; come è considerata nell’ordine materiale, la coesione degli esseri fisici per la loro (ri)produzione e conservazione reciproca.

Le prediche dei ministri delle diverse confessioni, gli scritti degli oppositori, le leggi penali dei Governi, non hanno mai avuto altro fine che quello di riunire, attraverso la persuasione o la forza, un’opinione all’opinione opposta. Tutto (e il contrario di tutto) è stato detto oggi da una parte e dall’altra, e tutto è stato fatto. Gli uni non potranno avere missionari più eloquenti di Fénelon, Fléchier o Boulardoue2; né oppositori più sapienti come Bossuet, Arnaud e Nicole. Gli altri non potranno disporre di oratori più grandi di Saurin, né difensori più abili di Claude, Daillé, Rajou, ecc.. I Governi non potranno prendere, contro i Riformati, misure più severe di quelle che prese contro di loro Luigi XIV alla fine del suo regno; e non metteranno in atto, contro i Cattolici, leggi penali più crudeli, di quelle attuate in Inghilterra da Enrico VIII e dai suoi successori. Tutte le strade della persuasione o del rigore sono quindi esaurite, e da tutte e due le parti; e quando si arriva a questo punto, dato che la divisione non potrà essere eterna, perché è direttamente contraria alla natura e alle finalità sociali, la riunificazione non dovrebbe essere lontana: perché è quando gli uomini sono alla fine dei loro sforzi, che la Natura inizia la sua opera.

Bossuet e Leibniz, degni plenipotenziari di queste due profonde forme di pensiero, al livello, se è possibile, del più elevato interesse, attraverso il loro genio e la loro reputazione tentarono, su richiesta di alcuni principi delle due confessioni, di riunificare le due Chiese. La loro corrispondenza è un modello di ragionamento, di saggezza, di moderazione e di cortesia. Bossuet vi dispiega una grande potenza di ragionamento; Leibniz l'arte infinita della dialettica. E quando si nota con quale rispetto e con quale gravità, Leibniz, forse il genio più ampio, e sicuramente lo spirito più colto tra gli uomini, tratta la religione cristiana, e con quale leggerezza, quale tono amaro e sprezzante, spesso in associazione con ignoranza e mala fede, poeti, artisti, romanzieri e scrittori, spesso senza talento anche sul genere frivolo, ne hanno parlato ancora tutti i giorni, ci si domanda se uno spirito acuto avrebbe scoperto, su queste alte materie, qualche cosa che sarebbe sfuggita alla meditazione del genio.

Ma il momento della riunificazione non era ancora arrivato. I negoziati di queste due grandi personalità non ebbero successo. La causa, almeno apparente, della rottura, fu la discussione sul Concilio di Trento, del quale Bossuet non poteva rinnegare l’autorità, e del quale il suo avversario si ostinava a negare la giurisdizione. Ma, dopo che Bossuet e che il sapiente Molanus, l’abate luteriano di Bochum, che in un primo momento gli era stato opposto, si erano avvicinati su tanti altri punti, prevalse il rigore di Leibniz: di non cedere alle importanti tesi fatte valere da Bossuet; alla fine, dal tono che traspare dalle sue risposte, si potrebbe sospettare la segreta influenza di considerazioni politiche, sempre importanti in Germania sul sistema religioso, e si potrebbe pensare che si cercasse un pretesto per rompere un negoziato che allarmava altri interessi, al di là della religione.

Qual che siano queste differenze, che la teologia non è riuscita a definire, la politica ne può far intravedere la fine. Voglio dire (perché ho fretta di spiegare il mio pensiero, per paura che si possa pensare che voglio sottomettere la religione alla magistratura), voglio dire, che ci sono problemi che la teologia ha trattato con il ragionamento e che la politica può decidere con fatti concreti; e che queste opinioni, che la prima ha considerato nella sua conformità o nella sua opposizione ai principi della religione cristiana, l’altra può, oggi, dopo la lunga esperienza fatta dall’Europa, considerarli per l’influenza sull’ordine e sulla stabilità delle società umane. Credo anche che questo metro di giudizio sia meno soggetto di altri a discussioni e che si possa affermare, in generale, che un errore politico non può essere una verità religiosa.

E che non mi si accusi di trasformare la religione in un problema politico, nell’accezione comunemente data a quest’espressione. Senza dubbio faccio della religione un problema politico, e anche il primo e il più importante oggetto della politica. Perché considero la politica un grande ed importante affare della religione? Non considero la religione dal punto di vista dello statista, solo perché considero la politica da uomo religioso e che, considerando la religione come potere supremo (per i suoi dettami, per le sue leggi e non per i suoi preti), e il governo come suo ministro, penso debbano essere indissolubilmente uniti, come lo sposo alla sposa, per concorrere insieme al fine unico della grande famiglia, che non è come l’insegnamento di una politica bottegaia e di una morale da teatrino, di moltiplicare gli uomini, e di dare loro ricchezze e piaceri, ma prima di tutto di farli buoni per renderli felici.

Non bisogna credere che la sana politica sia indifferente alla grande questione dell’unità religiosa. E non vi è un solo uomo di Stato, se è degno questo nome, che non pensi che l’unità delle diverse comunioni cristiane sia il più grande beneficio che l’Europa possa aspettarsi dai suoi capi, perché è l’unico modo di salvare la religione cristiana in Europa, e con lei, la civilizzazione e la società. Il nemico più pericoloso di ogni società, l’ateismo speculativo o pratico, è alle porte del cristianesimo. E già la professione pubblica di questa dottrina mostruosa, o piuttosto di quest’assenza di ogni dottrina, non è più un soggetto del quale ridere. Il materialismo, conseguenza inevitabile dell’ateismo, è insegnato da bei nomi, e con argomentazioni speciose. Un tempo si prendeva nell’uomo morale dei motivi di orientamento per l’uomo fisico, e nelle leggi delle direttive per le sue azioni, come si trovava nell’Intelligenza suprema la ragione dell’Universo; oggi si cerca nell’uomo fisico la ragione dell’uomo morale, e nell’energia della materia la causa prima di tutto quello che esiste.

Una notte eterna minaccia l’universo3.

L’ateismo, senza dubbio, sarebbe la fine del mondo morale, la fine della società.; e dove sarebbe allora, anche solo nelle nozioni di una sana filosofia, la ragione della durata del mondo materiale4? Non vi è altro che l’unione tra le differenti confessioni cristiane; non l’unificazione che viene dall’indifferenza generale, ma quella che viene dall’unità della fede, che possa difenderli dal flagello che le minaccia tutte. Al tempo di Bossuet e di Leibniz, si trattava della religione Cattolica e della religione Riformata, perché c’erano ancora dei Riformati e dei Cattolici. Ma oggi che gli indifferenti sono la maggioranza, è la religione cristiana che bisogna difendere, è la civilizzazione dell’Europa e del mondo che bisogna conservare; sono l’ordine, la giustizia, la pace, la virtù, la verità, tutto quello che c’è di morale, ovvero quello che c’è di grande e di elevato nell’uomo così come nella società, nelle abitudini come nelle leggi, nelle arti come nella letteratura. E, da questo punto di vista - e senza voler entrare in un qualche contradditorio – che è anche filosofico, della verità dei rispettivi credo nelle diverse comunioni, non ho paura ad ammetterlo, dove, in generale bisogna preferire la dottrina più forte, più inflessibile, più positiva, nemica dell’indifferenza; come nello Stato politico, il sistema di governo più forte, più assoluto, più repressivo di tutte le passioni popolari, è il più adatto ad assicurare la vera libertà dei popoli.

Ma se l’unità religiosa tra i cristiani è un bene, e che, primo fra tutti, questo bene è interdetto agli uomini; o piuttosto, esiste un bene verso il quale l’intera società deve tendere e al quale non possa pervenire? E se la religione ci insegna che l’uomo può tutto quello che è bene con il soccorso della Grazia, la ragione non dice che la società può tutto quello che è bene con il soccorso degli eventi? Perché, felici o infelici, gli avvenimenti pubblici, anche le rivoluzioni, sono dei mezzi grazie ai quali il potere supremo delle società si serve per correggere i disordini nei quali sono cadute, e per riportarle alle leggi naturali dell’ordine; come gli accidenti della vita sono dei mezzi che il Padre degli uomini utilizza per sottrarli al vizio e ricondurli alla virtù.

Getteremo quindi un rapido colpo d’occhio sulla circostanze religiose e politiche nelle quali versa l’Europa, e sulla facilitazioni che si presentano alla riunificazione delle differenti confessioni cristiane.

La causa, il pretesto, l’occasione, lo si chiami come si vuole, della Riforma, furono differenti torti, più o meno validi e fondati. Perché, nella rivoluzione religiosa che si operò allora, come nella nostra rivoluzione politica, ci si è attaccati ai difetti degli uomini, e si preferì distruggere, quando sarebbe bastato correggere?

Si rimproverava al Clero della vecchia Chiesa il numero eccessivo dei suoi ministri, le loro grandi ricchezze, il loro dominio temporale; gli si rimproveravano le innumerevoli feste, i voti monastici, la pompa del culto, ecc..ecc… Veri, falsi o esagerati, tutti questi punti sono scomparsi: perché bisogna notare che i legislatori del XVIII secolo hanno adempiuto tutti i voti dei riformatori del XV sec. Le istituzioni monastiche, le continue feste, sono state abolite o estremamente ridotte, in Francia, in Baviera, in diversi posti. In Italia sono minacciate dappertutto e, purché il popolo guadagni soldi, ci si preoccupa poco di tutto quello che può perdere a causa della o grazie alla religione. Il Clero ha perduto in Francia tutti i suoi beni; in Germania la sua sovranità temporale; in Italia e anche in Spagna si lavora per spogliarlo del superfluo: mezzi con i quali ci si è serviti in Francia per derubargli perfino il necessario. Tuttavia, malgrado le ricchezze e il lusso che gli si è duramente rimproverato, il Clero in Francia ha offerto durante la rivoluzione grandi esempi di tutte le virtù del suo stato, anche di quelle più difficili da praticare. Si può anche affermare che il comportamento edificante e rassegnato dei preti francesi emigrati o deportati nei paesi stranieri ha sensibilmente indebolito le prevenzioni che erano state ispirate ai Popoli della Riforma contro i ministri della Chiesa cattolica; e questa circostanza deve essere vagliata nel calcolo di una riunificazione. Il numero dei ministri è calato con i mezzi di sussistenza; e, lungi dal fatto che ci siano oggi ministri inutili, non ci sono, a ben vedere, tutti coloro che sarebbero indispensabili e necessari; e già gli atti pubblici hanno riportato le lamentele dei primi pastori sulla diminuzione progressiva, e presto, sulla mancanza assoluta di operatori. Le parrocchie si ridurranno nella misura in cui i preti diventeranno più rari; ed è bene tenere presente, a coloro che pensano che si possa fare la morale ad un popolo con la cronaca del villaggio e con degli almanacchi, che la privazione di ogni soccorso religioso nelle campagne; o, ciò che alla fine è lo stesso, la grandissima difficoltà di procurarseli a causa della lontananza della chiesa o della scarsità di pastori, porteranno un colpo mortale alle abitudini e anche all’agricoltura, a causa dell’abbrutimento nel quale cade il popolo, privato di qualsivoglia mezzo di insegnamento5, e della diserzione di un gran numero di ricchi proprietari, che si ritireranno nelle città dove il culto può essere seguito con maggior facilità.(….) Ma ritorno al mio soggetto.

Tutto quello che eccitava lo zelo ardente dei primi riformatori è dunque scomparso dalla società; e se, alla lunga, qualche cosa di tutto quello che è stato distrutto, fosse ristabilito, si può affermare che lo sarebbe per necessità di cose, e indipendentemente dalla volontà degli uomini.

(…)

E’ vero che, in apparenza, gli spiriti si divisero su problemi in apparenza più sottili: si disputava sulla Grazia, sulla giustizia, sulla predestinazione, sul libero arbitrio, sull’autorità della Chiesa, questioni teologiche e filosofiche, secondo le espressioni delle quali si servono le autorità alle quali si fa riferimento; questioni anche politiche, quando si consideri i loro effetti sulle popolazioni; ma problemi del più alto interesse, poiché decidono della moralità delle azioni umane, dei rapporti dell’uomo verso Dio, e dei fondamenti della società.

Ma qual che siano, su questi punti importanti, le differenze di credo degli uni rispetto agli altri, e quel che insegna la dottrina dei primi riformatori, per i principi o per le loro conseguenze sulla predestinazione rigida, l’impossibilità del libero arbitrio, l’inammissibilità della giustizia cristiana, l’inutilità delle buone opere per la salvezza, l’indipendenza da ogni autorità esterna in materia di fede, ecc., ecc., queste opinioni un po’ dure si sono addolcite nelle scuole di teologia protestante. I ministri della religione riformata predicano oggi la morale che ci è comune, molto più dei dogmi loro peculiari; e i riformati stessi si avvicinano ai cattolici nella pratica, là dove differiscono nella speculazione. Così si adeguano, senza essere obbligati, all’autorità ecclesiastica dei loro pastori e dei loro sinodi; implorano la misericordia divina come se non ci fosse la predestinazione; praticano le buone opere, come se fossero indispensabili per la salvezza; non si preoccupano più tanto, come gli Inglesi al tempo dei loro moti, di sapere se sono santificati; ma lavorano per divenire santi. (…) La più antica, la più numerosa e anche la parte più colta della Riforma, i luterani, hanno ripreso la sostanza del dogma – benché lo spieghino in un modo a loro peculiare e che è criticato dai calvinisti – molto più logici nelle loro opinioni. La Chiesa anglicana, che Jurieu chiama l’onore della Riforma, ha, secondo Burnet, storico celebre della Riforma, “un tale pensiero moderato sul dogma della presenza di Cristo che, non essendoci nessuna definizione concreta della maniera con la quale il corpo di Cristo sia presente nel sacramento, persone di diversi sentimenti possono praticare la stesso culto, senza che si possa ipotizzare che contraddicano la loro fede.”(…) Non cerco di sapere se più tardi non ci si è allontanati, nella Riforma, da questa moderazione di sentimenti; e non bisogna supporre che possa esserci, nella Riforma, un’autorità maggiore di quella del padre della Riforma.

Le Chiese di Inghilterra, di Svezia, di Danimarca, di Sassonia hanno conservato, le une i vescovi, la altre le autorità ecclesiastiche simili con nomi differenti. Si ritrovano, presso le une o presso le altre, brani dell’antica liturgia, o parti della messa, dei beni o delle dignità ecclesiastiche; e, anche in qualche parte della Germania Luterana, qualche vestigia di confessione; quest’ultima praticata, ma solamente come opera di consiglio e di alta pietà, non è interamente sconosciuta ai calvinisti. Melantone, la luce della comunione luterana, allarmato dalle divisioni che si elevavano nel suo partito, non vedeva che l’autorità dei vescovi per rimediare ai mali della Chiesa; e Leibniz, luterano, e onore della Germania, parla spesso della necessità della preminenza del Papa, e riconosce che nessun trono d’Europa è stato occupato da un maggior numero di principi illuminati e virtuosi. Il Papa non è visto come l’Anticristo; e i principi della comunione riformata intrattengono relazioni diplomatiche con la corte di Roma. (…)

Così le opinioni rigide si sono addolcite da un lato, e, nello stesso tempo le posizioni rigorose sono state soppresse dall’altro; ed è utile osservare, in onore degli Stati cattolici, che non c’è oggi in Europa, nei paesi spartiti tra le due Religioni, intolleranza legale se non in Inghilterra, dove è stato più facile cambiare l’ordine della successione, dove sarà più facilmente abolita la tratta degli schiavi, dove malgrado i progressi dell’illuminismo e della libertà di pensiero, sussistono le leggi penali contro i cattolici. L’amministrazione, più umana della costituzione, sospende, è vero l’esecuzione delle une e stempera l’applicazione delle altre; ma ne risulta che il cittadino è obbligato ad implorare la pietà dell’uomo contro l’inimicizia della Legge, anziché dovere, in uno Stato ben costituito, poter invocare la protezione della Legge contro l’ingiustizia dell’Uomo.

La Riforma in sé ha, dal suo inizio, posto le fondamenta della riunificazione, quando ha insegnato che si poteva essere graditi a Dio anche nella religione cattolica, perché quest’ultima aveva trattenuto i fondamenti della fede cristiana. “Quando Enrico IV – disse M. Bossuet – faceva pressione sui teologi, questi gli dichiaravano, per lo più in buona fede, che con loro lo Stato era migliore, ma che con noi era sufficiente per la salvezza.” La cosa era risaputa a corte. I vecchi signori, che lo sapevano dai loro padri, ce l’hanno raccontato spesso; e se non ci si vuol credere, si può far fede a M. de Sully, che, tutto preso di zelo per la Riforma, non solo dichiarò al re che si reputava infallibile, che ci si salva essendo cattolico, ma nominò a questo principe cinque dei principali ministri protestanti che non si allontanavano da quest’idea”…

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Non ho paura di dire, che tutto lascia presagire da lungo tempo, da parte dei riformati più illuminati e che hanno conservato un reale attaccamento alla religione cristiana, disposizioni assai meno equivoche riguardo alla riunificazione6. Cominciano ad intravedere che le divisioni tra i cristiani non fanno altro che aprire la porta agli errori, nemici di ogni religione rivelata, e guardano al Cristianesimo come ad una roccaforte assediata, attaccata da tutte le parti e dove bisogna, pena la morte, che gli abitanti si uniscano per la difesa comune.

Senza parlare dei dogmi della Riforma, alcuni dei quali, per sottolineare la grandezza e la potenza di Dio, hanno rovinato il libero arbitrio dell’uomo; altri, mettendo l’ispirazione individuale al posto dell’insegnamento pubblico, hanno distrutto o compromesso la pace sociale, i più illuminati tra i riformati accusano il loro culto di eccessiva essenzialità, di una semplicità troppo austera, di non essere, in una parola, abbastanza sensibile 7, voglio dire abbastanza esteriore per delle creature sensibili; e l’autore dell’Essai non si allontana da questa impostazione. Senza dubbio un culto completamente materiale, e che non parli che agli occhi, potrebbe creare degli idolatri; ma una religione che non si occupi che dell’intelletto, e faccia una continua astrazione dai sensi rischierebbe di fare degli uomini rozzi dei fanatici e non degli uomini di spirito e degli illuminati.

Gli uomini dotati di una immaginazione bella e colta rimpiangono i templi magnificamente decorati, le cerimonie fastose, i canti, i fuochi, i profumi, i capolavori della pittura e della scultura; “questa Vergine, modello di tutte le madri” dice l’autore dell’Essai “protettrice di tutte le anime tenere e ardenti, intermediaria della Grazia tra l’uomo e il suo Dio, creatura dell’Elisio, essere divino e toccante cui nessun altra religione offre qualcosa che si avvicini.” Rimpiangono tutta la poesia del culto cattolico, così bene modellato sulla natura dell’uomo, che permette un’espressione umana alle verità divine e che riveste di forme magnifiche e artistiche uno sfondo serio e austero (...)

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Le circostanze politiche presentano dei sintomi di riunificazione ancor più decisivi e molteplici che quelli offerti dalle circostanze religiose. Questi ultimi sembrano dipendere dalle disposizioni degli uomini; gli altri nascono dalla tendenza generale della società. Ma per sentirne l’importanza e osservarne la direzione, è necessario riprendere la cosa dall’alto.

L’autore dell’Essai attribuisce, tra le altre cose, alla riforma di Lutero, tutte le rivoluzioni politiche che sono scoppiate in Europa dalla nascita del Luteranesimo. Gli attribuisce un ruolo importante nella rivoluzione francese; procede alla lettera e sviluppa sotto tutte le forme, il principio che l’autorità letteraria ha consacrato e che non è stato contraddetto da nessuno: “che lo spirito del protestantesimo è strettamente collegato allo spirito repubblicano, come lo spirito del cattolicesimo è propizio al governo monarchico8.”

Grotius e Erasmo, che non possono essere sospettati, avevano capito, sin dal principio, che la dottrina dei riformatori sollevava i popoli contro l’autorità dei sovrani. Leibniz osserva: “che la maggior parte degli autori della religione riformata, che hanno sviluppato in Germania dei sistemi di scienza politica, hanno seguito i principi di Buchanan e di Junius Brutus” che, come lo si sa, sono i partigiani più esasperati dello Stato popolare.

Anche M. de Montesquieu ha notato lo stretto legame del governo popolare con la religione presbiteriana; ma, fedele al titolo della sua opera, il celebre autore cerca la ragione naturale di questa legge generale in qualche motivazione secondaria; e le riflessioni a questo riguardo sono più ingenerose che solide.

Infine, M. de Saint Lambert, nel suo catechismo universale, ultima produzione filosofica del secolo scorso, dice ancor più: nel libro di Calvino appare “Il cristiano di Calvino è necessariamente democratico.”

Si noterà, senza dubbio che ho sempre preso le mie autorità, i miei esempi, tra i riformati stessi, o tra i filosofi moderni.

Si può dunque guardare al legame intimo dei principi presbiteriani e dei princípi popolari, come un fatto certo, dichiarato, convenuto tra tutti i pubblicisti; e l’autore dell’Essai lamenta che questa opinione ha raggiunto i salotti dei sovrani. Ma nulla si può concludere contro coloro che sono stati ferventi realisti, ancorché riformati o repubblicani ardenti, benché cattolici, perché gli uomini sono spesso incongruenti nelle loro opinioni, e che gli uni sono migliori, gli altri peggiori dei loro princípi. E qui è il luogo di enunciare questa verità troppo poco conosciuta: la morale può dirigere la vita dell’individuo; ma solo il dogma forma lo spirito generale di una società.

Un effetto generale e costante suppone sempre una causa generale; ed è effettivamente risalendo al principio generale delle società e ai dogmi particolari della Riforma, che scopriremo il lievito di tutte le rivoluzioni che hanno agitato l’Europa dalla nascita del luteranesimo. La società domestica o la famiglia, elemento naturale di ogni società politica, era stata fino a Lutero, presso i popoli cristiani, conforme all’ordine naturale delle società e costituita su base monarchica. La religione, in accordo con la natura, aveva consacrato nell’uomo, l’unità del potere; la donna, primo ministro dell’uomo per la formazione e la conservazione della famiglia, subordinata al suo sposo, riceveva da lui l’autorità che esercitava sulla casa; e l’indissolubilità del legame coniugale, elevato a dogma religioso o politico, rendeva, vivi gli sposi, questo ordine immutabile e la società indistruttibile. Lutero fece rivoluzione nella famiglia, introducendovi il sistema democratico, voglio dire l’uguaglianza legale dei diritti tra l’uomo e la donna, perché ha permesso alla donna di ergersi a giudice della condotta del suo sposo e di sottrarsi con il divorzio alla sua autorità, per darsi un altro padrone ancorché vivente il primo e di formare altrove una nuova società...

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La religione cristiana era stata, fino a Lutero, costituita monarchicamente, sia nei rapporti intellettuali che stabilisce tra Dio e l’uomo, sia nella sua struttura esteriore. Il divino Fondatore di questa società ne era il capo invisibile, per agire invisibilmente, con la sua grazia, sull’uomo interiore; e aveva, nell’universo esterno, un luogotenente o rappresentante visibile, per agire, attraverso la parola o attraverso altri mezzi esterni, sull’uomo sensibile e per mantenere la pace e l’ordine nella società, attraverso l’uniformità esterna della dottrina e della disciplina. Fu questa monarchia esterna della società religiosa, temperata nondimeno da leggi fisse e fondamentali, come in tutti gli Stati naturalmente costituiti, che Lutero trattò come dispotismo intollerabile e che divenne l’oggetto favorito della sua focosa eloquenza, e di congiungimento con i settari. Lutero fece dunque una rivoluzione nella religione. “Riportò” dice l’autore dell’Essai “la chiesa sassone alla democrazia dell’età primitiva; e le chiese che hanno seguìto Calvino, sono costituite più democraticamente ancora.” Il diritto di esame e di interpretazione delle Scritture divine, che diverse comunioni concordano a considerare come un codice comune di tutte le società cristiane, fu lasciato alla ragione o all’ispirazione di ognuno; ed è, seguendo l’autore dell’Essai, a questo diritto di esame delle verità religiose, che l’Europa deve il progresso di tutte le scienze profane. Sarebbe difficile spingere più lontano il fanatismo della prevenzione.

Nel momento in cui ciascuno potè interpretare il senso delle leggi, non vi furono più leggi fisse, o piuttosto vi furono tante leggi differenti quante interpretazioni differenti. Ognuno fu giudice, ognuno fu arbitro del proprio credo e cercò di diventarlo del credo degli altri. Da qui il numero prodigioso di sette differenti, o anche opposte, che uscirono da questa fonte feconda; perché gli spiriti teologici del tempo vollero ciascuno fare una costituzione religiosa, come gli spiriti filosofici di oggi hanno voluto ciascuno fare una costituzione politica9.

Dal momento in cui gli individui, la cui collezione forma il popolo, potevano essere giudici e legislatori nello Stato religioso, a maggior ragione potevano essere legislatori e giudici nello Stato civile e politico. La conseguenza era inevitabile o piuttosto il principio era lo stesso e la democrazia doveva passare, dalla famiglia e dalla religione, al corpo politico, del quale la famiglia era la cellula e del quale la religione era la base. Così fu che da questa scuola di riforma uscì il principio fondamentale di tutte le democrazie passate, presenti e future; questo principio proclamato da Jurieu e ripetuto con gli stessi termini nell’assemblea costituente, nella seduta nella quale comparve il presidente La Houssaye. “Il popolo è l’unica autorità che non ha bisogno di avere ragione perchè i suoi atti siano validi” Wicleff, per primo aveva immesso negli spiriti il germe della sovranità popolare, quando aveva enunciato: “Che una donnicciola in stato di grazia ha maggior diritto al governo che un re peccatore10.” Così la Riforma nacque in prevalenza in luoghi dove trovò germi di repubblicanesimo e di forme popolari di governo; e si affermò nei luoghi dove poté stabilire il modello di Stato popolare; e, a volte la Riforma nacque in seno alla democrazia, a volte la democrazia in seno alla Riforma. Qui possiamo abbandonare il ragionamento e avanzare con l’aiuto della storia.

La dottrina di Wicleff, antenata di quella di Lutero, cominciò dunque in Inghilterra, in seno a questa società irregolare, nella quale il potere del popolo era sempre stato in aperta ribellione con quello del sovrano. Presto la Riforma vi fu introdotta e vi si modificò; e da questa costituzione politica, popolare nello sfondo ma monarchica nelle forme, uscì alla fine, dopo dibattiti sanguinari e frequenti variazioni, questa forma di costituzione religiosa denominata religione anglicana, presbiteriana nei suoi dogmi e in qualche punto cattolica nei suoi riti.

Lutero si dichiarò, in Germania, a favore di questa democrazia di principi, di re, di duchi, di marchesi, di conti, di vescovi, di abati, di città stesse, membri anche di questa confederazione di sovrani, sovrani essi stessi nel loro territorio. Là, piccoli principi laici accrebbero le loro esauste finanze grazie al saccheggio dei beni del Clero romano; qui, principi ecclesiastici intrapresero la via secolare; altrove, borghesi, fabbricieri nelle loro parrocchie, divennero capi e direttori di Chiesa. La libertà evangelica del matrimonio, per le persone votate al celibato, o di divorzio per le persone impegnate nel matrimonio, ebbe anche numerosi partigiani. La politica, secondo l'autore dell’Essai, ebbe gran peso nella Riforma; e tutte queste libertà crearono dei luterani ferventi, come hanno creato ai nostri giorni zelanti repubblicani. Senza dubbio esse non furono fra le cause prime della Riforma; ma ne furono le cause seconde e ne accelerarono meravigliosamente il progresso.

Gli Stati preponderanti della Germania, come l’Austria e la Baviera, più monarchici degli altri, restarono legati al cattolicesimo, o anche lo aiutarono a mantenersi, in qualche piccolo Stato secolare e nei principati ecclesiastici, dove il potere politico, rafforzato da quello religioso, non sarebbe stato sufficientemente forte da opporsi al torrente delle nuove opinioni.

La dottrina di Zwingli, capo della seconda Riforma, chiamata sacramentaria, nacque in seno alla democrazia elvetica. I grandi Cantoni, gli unici da considerare, quando si fa riferimento alla Svizzera come corpo politico, abbracciarono quasi tutti le opinioni della Riforma, che furono discusse in contraddittorio davanti ai magistrati, tra vecchi e nuovi dottori. I piccoli Cantoni, più popolari degli altri, restarono malgrado tutto, attaccati alla vecchia religione: eccezione unica che l’autore dell’Essai attribuisce alla loro gelosia verso i grandi Cantoni che volevano dominarli, e, soprattutto alla loro ignoranza; e dei quali bisogna, in primo luogo, rendere onore alla virtuosa semplicità di questi abitanti di montagna, coltivatori laboriosi piuttosto che cittadini scioperati, che ne sapevano altrettanto sulla religione che i mercanti di Zurigo, e, soprattutto, la praticavano meglio.

La Repubblica delle Province Unite iniziò con la Riforma e attraverso la Riforma; e come lo scontro dei partiti, la forza delle circostanze, le discordie civili, gli intrighi stranieri, le nuove pretese, le antiche abitudini diedero a questo Stato politico questa forma complicata, sommatoria di tutte le forme di governo ammise alla fine tutte le opinioni religiose, anche le più bizzarre. Divisioni furiose scoppiarono ben presto in tutti i partiti religiosi, come in tutti i partiti politici.

Non ci fu, fino ai dogmi di Socino, degenerazione della Riforma, il quale dopo aver cercato di stabilirsi presso l’aristocrazia veneziana 11, che in fondo altro non era che una democrazia di nobili, trovò un certo spazio sotto la democrazia reale polacca, dove i Sociniani fondarono perfino alcuni istituti: di modo che c’è una verità consolidata da numerosi fatti recenti, e ripetuti, che ovunque una mutua attrazione, prodotta dalla segreta analogia dei principi, ha portato l’uno verso l’altro i sistemi presbiteriani della religione, e il sistema popolare del governo; sia che la religione riformata, introdotta in uno Stato già popolare, abbia contribuito a renderlo ancora più popolare, come in Inghilterra e Svezia; che abbia fatto degenerare in Stati popolari paesi un tempo monarchici, come Ginevra e le Province Unite.

Nella Francia stessa, nella quale la costituzione monarchica si era indebolita a causa di diversi cambiamenti introdotti dai Valois,e sottolineati da Mézerai, le nuove idee si propagarono con rapidità. La Francia minacciò di diventare una repubblica: il progetto fu concepito, l’esecuzione iniziata; e, senza dubbio sarebbe stata coronata da un grande successo, se il principio monarchico che animava la Francia dopo dodici secoli non fosse stato ancora sufficientemente forte da ricondurre all’antica fede il principe, nato calvinista, ma che il diritto di successione chiamava al trono.

Non fu senza grandi sconvolgimenti e sciagure per l’umanità, e l’autore dell’Essai ne conviene, che la Riforma si introdusse negli Stati, e che le popolazioni passarono o vollero passare, dalla monarchia alla democrazia, o dalla democrazia alla demagogia. Questa tragedia luterana, come la chiamava il più bello spirito dei tempi, ebbe intrighi e catastrofi. La guerra divampò in Inghilterra, Boemia, Ungheria, Germania, Svezia, Olanda, Svizzera, Francia tra i diversi partiti, politici e religiosi. Anche là dove cattolicesimo e monarchia furono abbattuti, la guerra - di spada o di penna – continuò tra le differenti sette della Riforma: episcopali contro puritani, arminiani contro gomaristi, luterani contro sacramentari, anabattisti contro tutti gli altri. Questi ultimi furono gli arrabbiati di questa rivoluzione, altamente sconfessati da Lutero, così come gli arrabbiati della nostra lo erano dai primi costituenti. “Si ritrova in effetti tra loro – dice l’Essai – la stessa pretesa alla libertà e all’uguaglianza assolute, che hanno causato gli eccessi dei Giacobini in Francia. La legge agraria, il saccheggio dei ricchi, facevano già parte dei loro simboli; e sulle loro insegne avrebbe potuto essere scritto il motto: Guerra ai castelli, pace nei tuguri 12.”

Ginevra stessa, nella quale Calvino, dopo aver fatto tabula rasa di tutte le antiche istituzioni, legislatore e riformatore al tempo stesso, aveva applicato al governo civile l’osservanza rigorosa della sua teoria religiosa. Ginevra, questo faro di luce, di patriottismo e di attività, dice l’autore dell’Essai, che avrebbe dovuto trovare pace in questa perfetta armonia o, per meglio esprimersi, entro questa identità di principi religiosi e di principi politici; Ginevra, con tanti vantaggi, un territorio esiguo, un popolo poco numeroso e dedito alle arti, non conobbe mai la felicità derivata dalla tranquillità. Inquieta per filosofia e per cupidigia, come le grandi repubbliche lo sono per ambizione, non potendo invadere Stati vicini, fece, attraverso le sue speculazioni, una guerra mortale alle loro finanze; fece guerra ai loro princípi. “L’influenza di questa piccola democrazia – nata dalla Riforma, su grandi Stati, particolarmente la Francia e l’Inghilterra è incalcolabile, dice sempre l’autore … E’ a Ginevra che andarono a ubriacarsi di repubblicanesimo e di indipendenza gli esiliati e i proscritti inglesi che allontanava dalla loro isola l’intolleranza della loro prima Maria… E’ da questo ceppo che partirono le sette presbiteriane di indipendenti, che agitarono per così lungo tempo la Gran Bretagna, e che condussero al patibolo lo sfortunato Carlo I° … E’ da Ginevra che sono usciti tanti uomini di genio che, come scrittori, come notabili, hanno influenzato in maniera decisiva la Francia, la sua situazione politica e morale, sull’opinione e sull’illuminismo. E’ nelle vicinanze di Ginevra che Voltaire si è inorgoglito di essersi appoggiato; e da dove, come un nuovo Calvino, ha esteso in tutti i campi la sua influenza.” Turbolenta all’esterno per quanto poteva esserlo, Ginevra fu senza dubbio agitata all’interno; e, sempre scontenta del suo stato presente, anche con il governo più popolare e con la religione più presbiteriana, contò il numero dei suoi anni con il numero delle sue rivoluzioni; rivoluzioni sempre ridicole per il loro oggetto, ma nondimeno violente, se una parola da parte della Francia a questa repubblica indipendente, non avesse impedito gli estremi eccessi. “E’ vero che quando uno Stato popolare è tranquillo, si è sicuri che non c’è libertà” ed è Montesquieu che ha fatto questa riflessione.

A causa di tutti questi sconvolgimenti, i governi diventarono più dispotici: sia che, divenuti uno Stato popolare, erano abbandonati al dispotismo del popolo, il peggiore di tutti; sia che, rimasti in apparenza monarchici, come qualche Stato del Nord, “il potere del principe fosse accresciuto di tutto quello che aveva perduto l’autorità del Clero”, i popoli non divennero più liberi; ma, posseduti dal furore del danaro, divennero più ricchi attraverso il commercio e, soprattutto, se bisogna credere all’autore dell’ Essai, molto più sapienti in tutte le scienze e perfino nell’arte militare; perché è lì, secondo l’Essai, uno dei risultati della Riforma, e anche, bisogna convenirlo, un risultato abbastanza poco evangelico. La prodigiosa crescita di forze e di mezzi militari, che ha stupito e pesato sull’Europa, data dallo stesso periodo della Riforma. La religione Cattolica fa uso nel suo culto di molti uomini e di molte ricchezze; e, senza approfondire altre motivazioni, è naturale che – ovunque dove è stata abolita – restino molti più uomini e soldi al servizio dei sovrani. Così gli Stati riformati, poco stabili, hanno tutti dimostrato, nel loro stato nascente, una grande forza di aggressione. La loro costituzione, laddove somiglia ad una monarchia, è in generale del tutto militare, e perfino dispotica; e, sia che facciano la guerra per conto proprio, sia che abbiano venduto i loro uomini per qualche controversia straniera, forti o deboli, hanno quasi tutti fatto un uso smodato dei loro mezzi. Il luterano Gustavo Adolfo fu il creatore della tattica; il filosofo Federico II perfezionò quest’arte omicida; e questo equilibrio politico che è costato all’Europa delle guerre di trent’anni, delle guerre di sette anni, o piuttosto una guerra di trecento anni, tanti quanti sono decorsi dalla Riforma, che non è stata altro, a ben vedere, che la lotta segreta dei partiti religiosi. “Dalla Riforma, - continua sempre il nostro autore – derivò questa doppia disgrazia, che le guerre sopraggiunte presero un carattere religioso e fanatico, e, di conseguenza, più animato, più terribile, più sanguinario delle altre guerre; che le controversie dei teologi acquisirono un’importanza politica, una universalità che rese i suoi effetti più funesti, più prolungati, più estesi di tutte le controversie che avevano agitato fino ad allora l’Europa cristiana … Ed è abbastanza per convenire – a partire dallo straripamento dei popoli del Nord nell’Impero romano, nessun avvenimento aveva fino ad allora provocato in Europa degli stermini e delle distruzioni così lunghi e così universali come la guerra accesa dalla Riforma.”

Fino alla metà del XVII secolo, gli Stati popolari e riformati non avevano goduto in Europa che di una esistenza locale, e in qualche sorta, tacita. Ricevettero una legittimazione politica e costituzionale dal trattato di Wesfalia, “capolavoro della saggezza e della politica umana – secondo l’autore dell’ Essai – il più solenne di tutti i trattati, per numero e dignità dei partiti, per molteplicità e importanza di interessi; ma, in fondo, il più illusorio di tutti, perché volle, malgrado la natura e la ragione, costituire un sistema popolare, ovvero fissare la mobilità e rafforzare il disordine: trattato sempre e invano invocato dai deboli, sempre impunemente violato dai forti; epoca dell’inferiorità della Germania rispetto alla Francia; trattato che non ha potuto difendere l’Impero germanico, né contro i suoi vicini, né contro i suoi membri; che non ha potuto assicurare nessuno degli interessi che ha garantito; e che, volendo stabilire l’equilibrio politico, ha potentemente accellerato l’indifferentismo religioso.”

Gli avvenimenti hanno fatto giustizia ben più energica che non Roma e i suoi decreti, contro questa transazione temporale, palliativo impotente ai mali dell’Europa. Tutto questo patibolo popolare, del quale si credette affermare la debole esistenza, è crollato in un attimo. Questa Costituzione germanica, incensata da tanti pubblicisti; queste tavole della legge dell’Europa, scritte su di una pietra fragile, si sono rotte al primo urto. Il potere politico dell’Ordine ecclesiastico, l’aristocrazia dell'Ordine equestre, la democrazia delle Città così dette libere, l’immediatezza di tutti quei sovrani dei villaggi, tutto è finito; e governi naturali, voglio dire, quelli veramente monarchici, nei quali ci sarà un potere unico, dei ministri e dei cittadini uniti tra loro da rapporti naturali, sorgeranno ovunque al posto di queste deboli e anarchiche istituzioni 13.

La Confederazione delle Province Unite - fascio mal legato che teneva unito un leone da lungo tempo disarmato - che aveva potuto difendere il suo territorio contro i furori dell’Oceano, ma non salvare le istituzioni dal furore dei partiti; questa terra classica della libertà, dove la debolezza passa per prudenza e l’opulenza per la forza, che ha diffuso in tutta l’Europa il veleno della sua stampa come le spezie delle sue colonie, è crollata sotto il peso delle divisioni e, incapace di governarsi da sé, ha ricevuto un capo 14 e presto saluterà un altro padrone. Questa Confederazione elvetica governo eterno, secondo Montesquieu e, secondo tutti i nostri filosofi, patria di tutte le virtù repubblicane, perduta dal commercio e dalla falsa filosofia è stata, per mancanza di accordo tra i suoi membri, davanti alla sorte che l’attendeva ed è già soggetta ad un magistrato unico, legame necessario di fronte a tanti interessi opposti, a tante divisioni nascoste, Venezia, Genova, Ginevra, la Polonia, la Svezia, le grandi aristocrazie 15 così come le piccole democrazie, sono passate sotto il governo monarchico; e l’Ordine non mutabile della natura trionfa dappertutto sui vani sistemi degli uomini. La Francia ha saputo tirarsi dall’abisso di tale demagogia, solo ritornando all’unità del potere. Gli Stati popolari, sotto qualsiasi forma siano, una volta barcollanti su una base incerta, non possono riprendere il loro assetto originario, opera dell’azzardo e delle passioni, che il caso non sarebbe in grado di riprodurre.

Come l’opera dell’uomo può bene, a forza di cure, far vivere per qualche giorno, in un vaso fragile, quelle piante esotiche delle quali l’arte è stata l’artefice fino alla zolla di terra che le ha nutrite, che l’arte protegge, che copre, che difende dalle ingiurie delle stagioni e dalle minime variazioni della temperatura; ma la natura sola ha seminato una volta sulla vetta delle montagne quelle querce secolari che l’uomo non ha mai coltivato, che sfidano durante i secoli, i venti e le tempeste; e, se soccombono infine all’ingiuria del tempo, le gemme uscite dal loro fusto, e appoggiate sulle loro antiche radici, li riproducono e danno loro una sorta di immortalità.

Che cosa sono diventati queste virtù esaltate, questo patriottismo bruciante, questa energia, questa fierezza repubblicana, che gli scrittori entusiasti poco edotti sull’antichità, credevano ritrovare nelle repubbliche moderne? Le passioni che si erano sviluppate alla loro origine, presto esaurite, come tutte le passioni, li hanno lasciati senza difese. Tutti questi Stati popolari, che non sarebbero sopravvissuti, anche alla loro nascita, se l’ascendente delle monarchie vicine non avesse strangolato, per amicizia o per paura, i dissensi sempre al momento in cui stavano per lacerarli, tutti questi Stati chiamavano da lungo tempo il potere monarchico, come garante della vera libertà, che consiste nell’ordine e nella pace; e, se bisogna dirlo, non che è in qualche cantone di pastori, e ancora cattolico, che si è trovato un coraggio e delle virtù degne dei più bei giorni di Roma e della Grecia o, piuttosto, degni della causa che difendevano: perché questi uomini, illuminati dalla loro semplicità, e virtuosi malgrado le loro abitudini rozze, si battevano per la loro religione, che un governo fanatico di ateismo aveva giurato di annientare.

E che non si pensi che io voglia giudicare occasionalmente oppure adulare il governo francese. Da molto tempo compenetrato da questa idea, che credo eminentemente filosofica, che esistono delle leggi per l’ordine morale o sociale, come ci sono delle leggi per l'ordine fisico, delle leggi delle quali le passioni dell’uomo possono ben momentaneamente ritardare la piena esecuzione, ma alle quali presto o tardi la forza invincibile della Natura riporta necessariamente le società; che la prima di queste leggi è l’unità fisica del potere, maschile, ereditaria, ecc; avevo osato, ai tempi del repubblicanesimo più fervente in Francia, o piuttosto in Europa, annunciare la conversione di tutte le repubbliche, e della Francia essa stessa, in Stati monarchici16. Tutte queste repubbliche sono finite, non per la forza della Francia, ma per la loro intrinseca debolezza e perché la Francia, al tempo dei disordini, impossibilitata a proteggerli, poiché aveva perduto ogni potere essa stessa, vi ha reso loro, con tutta la loro violenza, le passioni popolari delle quali un tempo poteva contenere l’esplosione. Non ha distrutto il sistema popolare, che si distrugge sempre da sé; ma una volta ritornata all’unità del potere, ha dappertutto favorito la natura nel ristabilimento di questa autorità tutelare della quale l’Europa non può fare a meno. Il presidente Hénault dice, parlando di un’altra epoca, che “Ancora un secolo di guerre private, ed era chiusa per la Francia”. E si può aggiungere “Ancora un secolo di repubblicanesimo, ed era finita per l’Europa.”

Le Repubbliche politiche, o gli Stati popolari, non esistono più; e, poiché bisogna dirlo alla conclusione del quadro che abbiamo presentato, le repubbliche religiose o la religione presbiteriana considerata politicamente, non ha più patria ed è come esiliata dall’Europa politica. Non dico che non ci saranno ancora e ancora per lungo tempo, negli Stati monarchici, dei privati che professano la religione riformata, come si trovavano dei cattolici negli Stati popolari; voglio semplicemente dire che, in virtù di un’altra legge del mondo sociale, che credo generale, alla lunga rinascerà l’armonia tra i princìpi delle due società; e che, presto o tardi, l’unità politica porterà all’unità religiosa. Così abbiamo visto, alla nascita di tutti gli Stati europei, il cattolicesimo e la monarchia e, più tardi, i princìpi opposti di presbiterianesimo e di popolarismo unirsi strettamente; e vediamo ancora, in Inghilterra, Svezia e in qualche altro Stato del Nord, come la religione riformata diventi meno presbiteriana nelle forme, nella misura in cui il potere politico, benché condiviso, sia più monarchico nelle proprie.17 L’Inghilterra stessa, a lungo protettrice interessata della religione riformata dei suoi vicini e che, per questa ragione, ostacola ancora il cattolicesimo nei suoi Stati; l’Inghilterra, potenza artificiale e che si sostiene su due puntelli, ora ugualmente vulnerabili, nei suoi vascelli e nella sua banca, esposti l’uno e l’altro all’incostanza dei venti e all’incostanza del popolo; l’Inghilterra tende ad un cambiamento politico che porterebbe inesorabilmente ad un cambiamento religioso. La Prussia, considerata come potenza indipendente e fuori della Confederazione germanica, che professa meno la religione di Lutero o di Calvino che la religione di Federico II; la Prussia, con la sua costituzione tutta militare …ma, quando la forza di un grande Stato è un segreto, il suo destino è un problema 18. La gelosia dell’Inghilterra contro la Francia, i timori che la casa d’Austria ispirò ai principi germanici, tutti questi motivi che sono stati, secondo l’autore dell’ Essai, un potente veicolo della Riforma, ma presto non esisteranno più, o impiegheranno altre armi che non il dissenso religioso. Lo ripeto, la Riforma, considerata nel suo stato pubblico e politico, non ha più suolo natale che sia atto a riceverne la natura 19. E che si faccia attenzione, non c’è al mondo e senza dubbio non vi può essere che la religione giudaica che si sostiene da sola, indipendente, ormai da più di venti secoli, da ogni governo. Dio ha derogato, per questa società unica, alla legge generale delle cause seconde, che pone una religione, una volta stabilita, sotto la protezione di un governo analogo; e Lui solo, senza il ministero degli uomini, e spesso contro la volontà degli uomini, si è incaricato della sua esistenza. E’ lì il miracolo perpetuo della durata dello Stato religioso dei giudei, così stupefacente per l’osservatore politico, come lo sarebbe, per un naturalista, la vegetazione di una pianta le cui radici non toccassero punto la terra e navigassero nell’aria. (…)

La Riforma, rompendo l’unità religiosa tra i Cristiani, ha indebolito la coesione politica che deve esistere tra i figli di un’unica patria; e l'autore che cito sempre dice – riprendendo Schiller – storico della guerra dei trent’anni: “Gli interessi che fino alla Riforma erano stati nazionali, cessarono di esserlo in quest’epoca … Un sentimento potente sul cuore dell’uomo che è l’amore stesso per la patria, che lo rende capace di vedere e di sentire fuori di questa patria. Il protestante francese si trovò più in contatto con quello inglese, tedesco, olandese, ginevrino, che con il suo compatriota cattolico… Si prodigò con zelo, ad un compagno della fede, l’aiuto che non potrebbe essere accordato con ripugnanza ad un semplice vicino…”(….)

Tutto annuncia quindi ai veri amici dell’umanità, che l’unità religiosa, questo unico gran bisogno della società civilizzata, rinascerà nella cristianità e, senza dubbio attraverso la Francia, primo ministro della Provvidenza nel governo del mondo morale, sempre felice, finché ha compiuto questa missione, sempre punita quando se ne è allontanata. “Lutero – afferma Saint Lambert – non era un uomo di genio ma ha cambiato il mondo.” A Dio solo appartiene di cambiarlo, perché conosce il bisogno, il momento e i mezzi del cambiamento; e, quando necessario lo rivela agli uomini di genio. Bisogna dirlo, la gloria del genio guerriero è esaurita; ma la gloria del genio religioso, restauratore dell’ordine morale è ancora integra e può tentare un carattere elevato. “Se fossimo abbastanza felici – dice Leibnitz – perché un gran monarca voglia un giorno prendere a cuore di estendere l’impero della religione e della carità, si avanzerebbe di più in dieci anni per la gloria di Dio e per il benessere del genere umano, che non si farebbe altrimenti in dieci secoli”; e, per citare le parole di questo bel genio, ancora più appropriate all’interno di questo articolo. “La riunificazione di tutti gli spiriti costituisce la Città di Dio e l’avvento del mondo morale nel mondo fisico. Non c’è niente nelle opere del Creatore di più sublime e di più divino. E’ la monarchia veramente universale e lo Stato perfetto sotto il monarca perfetto.” Questa riunificazione, che il tempo ha iniziato, e che i governi illuminati possono affrettare, a condizione che non la forzino, solo il tempo la consumerà; e il mausoleo, che l’ammirazione politica innalza, dopo tre secoli, a Lutero 20, nei luoghi che ne videro la nascita, sarà presto o tardi, se ne può accettare l’augurio, sarà il sepolcro della divisione della quale fu il primo autore.

(traduzione di Marianna Brancia d’Apricena)

Pubblichiamo un breve saggio di Louis de Bonald sull’unità religiosa in Europa, il cui tema prevalente è più il rapporto tra religione e politica (sia sotto il profilo dell’unità che della forma) che l’unità religiosa in se. Data la lunghezza del testo (integrale) sono stati tolti alcuni passi più legati all’ “attualità” dell’epoca.

1 Saggio sullo spirito e l’influenza della riforma di Lutero, Paris s.d.

2 Questi tre oratori furono impiegati nel Poitou, Sainteonge e Linguadoca, per riunire il protestanti alla Chiesa cattolica

3 Impiaque aeternam timuerunt saecula noctem, Virgilio Le georgiche

4 Questa considerazione, in linea con la filosofia di Leibnitz, è conforme alla credenza della religione cristiana, che indica, tra i segni premonitori della fine del mondo, l’estinzione della fede e la diminuzione della carità. Così la morte della società sarà come quella dell’uomo, per assenza di luce e calore. “Un po’ di filosofia, scriveva Bacone, ci allontana dalla religione; molta filosofia vi riporta”. Quanto detto è profondamente vero. La religione cristiana non è altro, a ben considerarla, che la più elevata filosofia razionale; e tutti concorderebbero se essa non esigesse la pratica della propria credenza speculativa.

5 La Società d’Agricoltura del dipartimento de l’Aveyron ha bandito un premio per la migliore opera sui mezzi per rendere ai proprietari l’autorità sui loro domestici. Questo fa onore al retto intendere di queste società; ma prova la gravità del male. L’insubordinazione dei domestici viene da cause religiose; l’ho scritto altrove. Si sarà costretti a scrivere i costumi (moeurs), come si scrivono le leggi; e invano si cercano rimedi particolari a mali provocati da cause generali.

6 Si può citare tra gli altri il celebre Lavater che guardava alla riunificazione delle confessioni cristiane come risultato infallibile della rivoluzione. É vero che Lavater fu accusato, e credo non senza ragione, da alcuni dotti berlinesi, di pendere verso il cattolicesimo; ma quali che fossero le sue tendenze religiose, non è stato da meno uno degli uomini più stimabili, virtuosi e illuminati dei tempi suoi, malgrado qualche opinione fisiologica, vera di fondo, forzata nei particolari.

Qualche anno fa, uno degli uomini più istruiti e uno dei primi poeti di Germania, il conte Federico di Stolberg, eminente alla corte di Lubecca, si convertì con la moglie, alla religione cattolica, e fu obbligato a rinunciare alle sue cariche.

J.J. Rousseau ha scritto “Che mi si provi che devo sottomettere la mia ragione ad una autorità, e da domani sono cattolico”. La prova (e ce ne sono altre) della necessità di una autorità, deriva dalle stravaganze, dalle bizzarrie, dalle opposizioni, dai sistemi inventati dalla ragione umana. Di questo materiale siamo ricchi; e Rousseau stesso vi ha attinto.

7 Sensibile, nella terminologia filosofica, significa che è percepibile dai sensi, che è esteriore e materiale; da ciò deriva, senza dubbio, che in un secolo di materialismo, non si parla d’altro che di sensibilità.

8 “Se volete decattolicizzare la Francia occorre abolire la monarchia” diceva l’uomo più acuto in scienza della rivoluzione; e il risultato ha provato l’esattezza della considerazione.

9 Si può citare tra mille, un singolare esempio di tale corrispondenza, ed esattamente lo stesso nei due casi. Lutero, preoccupato del suo sistema d’imputazione, insegnava che le opere buone sono inutili per la salvezza. Amsdorff, uno dei suoi discepoli, arriva a sostenere che sono dannose e fondò una setta. Nella nostra rivoluzione, si è cominciato a dire, a favore di Mirabeau, che si può essere un uomo molto sregolato, e allo stesso tempo un cittadino sincero e buono¸e si fini per proscrivere degli onestuomini, come una fazione pericolosa.

10 Gli illuminati, i Gesuiti della filosofia, secondo l’autore dell’Essai, e che li fa nascere con la riforma, come la massoneria “sono, scrive, gli apostoli di una setta politica, la cui fede è fondata su questo bel sogno, ossia che sono virtù e talenti che devono avere la precedenza nell’autorità sugli uomini”. Questo principio è esattamente quello di Wicleff, ma tradotto in termini filosofici. Ci sono dei bei sogni in amore e in ambizione, ma non ce ne sono in politica. E’ una pazzia soffermare la propria attenzione su delle idee praticamente impossibili, e di conseguenza false, e un crimine provare a tradurle in pratica. Gli illuminati sono pertanto dei Wicleffisti filosofi, e tutta questa dottrina finisce com’è cominciata. Del resto questo sogno non è che un sillogismo dell’amor proprio “Le virtù e i talenti devono governare gli uomini: noi e i nostri amici soli possediamo virtù e talenti, dunque ecc. ecc.. Quando la premessa maggiore di un sillogismo è un errore, e la minore un impulso (passion), c’è da temere che la conclusione sia un misfatto (forfait).

11 L’aristocrazia o il patriziato è propriamente una democrazia di nobili, e la democrazia un’aristocrazia borghese, J.J. Rousseau ne ha preso nota. Dovunque il potere è multiplo, c’è democrazia.

Quale che sia la parte del popolo che esercita la demagogia, o la democrazia, portata agli estremi, è, per quanto ciò sia possibile, il potere di tutti su tutti.

12 Catrou ha narrato una storia assai curiosa di questi fanatici in un libro ormai raro. Dominarono per qualche tempo a Münster, sotto la guida di Giovanni di Leyda, un sarto. Quasi tutto quello che fecero d’odioso e di stravagante è stato ripetuto in grande all’epoca del terrore.

13 L’autore non cambia nulla di ciò che ha scritto all’epoca, e se si è sbagliato non è che per la data.

14 E’ cosa degna di nota, anche dopo una rivoluzione, che lo stesso uomo che è stato il più acceso promotore dello Stato popolare in Olanda, ne sia stato il primo magistrato supremo nominato, e non abbia occupato per un momento questa carica che per far passare il suo paese ad un regime monarchico; è l’ultimo capitolo della sua opera: De Imperio populari rite temperato, ma aggiunta da un’altra mano.

15 Del resto, le piccole democrazie, circondata da grandi monarchie, non erano da lungo tempo in Europa, che municipi i quali godevano di un’indipendenza di diritto, perchè ai primi disordini che si fossero manifestati nel loro senso, le grandi potenze sarebbero intervenute per ristabilirvi l’ordine, in un primo tempo per loro mediazione, e, in caso d’insuccesso con le armi, ; come capitato in Olanda per iniziativa della Prussia; e a Ginevra per la Francia.

16 Théorié du pouvoir politique et religieux dans la societé civile: scritto nel 1793, pubblicato nel 1795.

17 Ad esser precisi, il luteranismo è il più analogo all’aristocrazia, il calvinismo alla democrazia, come il cattolicesimo alla monarchia.

18 V. lettere di Mirabeau sulla Prussia

19 V. le Entretiens philosophiques sur la réunion des differentes communions chrétiennes, , del barone de Stark, ministro protestante alla Corte di Hesse-Darmstadt.

20 E’ stata aperta in Sassonia una sottoscrizione per realizzare un monumento a Lutero ; e assai di recente se n’è fatto, in Germania, l’eroe di un dramma



Pubblicazione del: 25-07-2012
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