Katekhon e Sophia: la posta in gioco capitale e i suoi simboli-Bernard Marchadier-Vol.40-   Stampa questo documento dal titolo: . Stampa

Katekhon e Sophia: la posta in gioco capitale e i suoi simboli

di Bernard Marchadier

Ai Tessalonicesi, alcuni dei quali pretendono che “il giorno del Signore si avvicina” (2 Th. 2.2) e che, dunque, è inutile lavorare1, San Paolo risponde che tale giorno non è ancora arrivato e, nella sua seconda lettera, affronta il problema di quel che precederà la Venuta del Signore: “non perdete così rapidamente la ragione, non lasciatevi allarmare da una rivelazione dello Spirito o da una parola o da una pretesa lettera che ci presenta il Giorno del Signore come imminente […] Bisogna che prima sia venuta l’apostasia, e che sia apparso l’uomo dell’iniquità, il figlio della perdizione, l’avversario, colui che si erge contro tutto quello che è chiamato dio o che è adorato, fino a sedere nel tempio di Dio o a proclamarsi lui stesso Dio […] E, adesso, sapete quel che fa ostacolo a che possa manifestarsi. In effetti, il mistero dell’iniquità è già in azione. Che scompaia quello che fa ostacolo e, solo allora, si manifesterà l’Iniquo …” (2 Th. 2, 2-8). La parola “Anticristo” non si trova in San Paolo, ma si trovano termini quali “uomo dell’iniquità” o “figlio della perdizione”, “l’Iniquo”, “l’avversario” che ben corrispondono allo stesso personaggio dell’Anticristo di San Giovanni.

Il “mistero dell’iniquità è in azione”, ma il giorno del Signore non verrà finché l’Iniquo sarà trattenuto. Esiste dunque una forza che, trattenendo l’Anticristo, - il male – ritarda al contempo l’avvento del Regno – il bene finale. E’ la condizione dell’esistenza di questo necessario “essere tra due” tra il già lì e il non ancora che è rappresentato dalla Chiesa. Questa “forza che trattiene”, che si suppone essere conosciuta dai Tessalonicesi, viene chiamata in greco katekhon ed è sotto questo nome che la designeremo nelle considerazioni che seguono. In San Paolo il katekhon figura prima come genere neutro (to katekhon) e poi come maschile (o katekhon) e, nel latino della Bibbia Vulgata come “qui detineat” e ancora come “Qui tenet”.

Sulla natura di questo katekhon non c’è unanimità nella tradizione della Chiesa. Si tratta dunque di un theologoumenon, ovvero sia di un’opinione teologica sulla quale il magistero non si è mai pronunciato, fatto che, d’altronde, non autorizza congetture azzardate. Sant’Agostino, per conto suo, rinuncia, su questo punto, ad affermare alcunché. Altri Padri vi vedono la “preghiera” dei Giusti: è perché il piccolo numero resta ancor fedele che il mondo può accogliere la presenza divina e resta capax Dei. Ma l’opinione dominante dei Padri – che, nelle loro argomentazioni, si appoggiano volentieri sugli oracoli delle sibille pagane - è che “quello che impedisce la venuta dell’Anticristo, è l’Impero Romano: impero pagano per Tertulliano2 e per Ippolito3, poi impero cristiano per Lattanzio, per San Girolamo4, per San Giovanni Crisostomo5 o per San Giovanni damasceno. Per tutti è Roma che, attraverso l’esercizio concreto del potere politico, arresta la venuta dell’Iniquo.

Questo Iniquo – l’ille iniquus della Vulgata – San Paolo lo nomina (2 Th. 2.3) o anthropos tis anomias e, altrove, (2 Th. 2.8) o anomos. L’originale greco comporta qualche chiarimento che il latino aveva leggermente occultato: il male – trattenuto dal katekhon e dal quale siamo protetti - è precisamente l’anomia, ovvero l’assenza di organizzazione legale o naturale, l’assenza di regole in tutte le cose nella città umana.

L’interpretazione che vi propongo – non è sicuramente l’unica, ma non la credo illegittima – è dunque questa: se gli avvenimenti terribili annunciati per la fine dei tempi non si sono ancora scatenati, è perché Roma, intesa come Città per eccellenza, non rende possibile l’anomia generalizzata - l’anomos - necessaria all’Anticristo per imporsi. La difesa contro l’anomia, è Roma, è l’Impero Romano, è la Città, alla cui testa si trova l’autorità che incarna e che fa applicare la nomos, la regola. (il di-rigo< dirigare).

Carl Schmitt, nel corso di tutta la sua ricca produzione letteraria, si è interrogato su chi avrebbe potuto, dalla caduta dell’Impero romano in poi (né in senso antico né in senso dei suoi eventuali prolungamenti bizantini, carolingi, ottoniani o asburgici), legittimamente pretendere il ruolo di katekhon. Non mi impegnerei su questo terreno. E’, a mio parere, rischioso voler dare a questa domanda una risposta storica precisa. Mi sembra più giusto e fecondo nominare il “katekhon” nel significato inteso qui sopra, di ordine politico incarnato dalla Città. Ho detto Città e non Nazione, nella quale intervengono il sangue, l’ineluttabile, il fatale. La Città perché c’è una parte di scelta morale [attiva, ndr] nella cittadinanza. E’ precisamente perché è luogo di scelta morale e di scudo contro l’anomia che la città è l’ambiente peculiare dell’uomo, il posto dove lo zoon politikon, l’animale politico e politicizzato (da polis, città) che egli è per definizione, può pienamente realizzare la sua natura. Se le mura difensive della città crollano e se l’anomia si espande, l’uomo non è più conforme al suo essere e la Grazia o non può più agire, o agisce il male. Ultimamente l’anomia aumenta le turbe psichiche6 gravi e, - Durkheim l’ha dimostrato – conduce al suicidio.

Poiché sottintende scelta, adesione e virtù e poiché l’armonia è necessaria per presiedere alla vita comunitaria, la Città non esiste separata dalle forze superiori. La Grazia presuppone la natura per produrre il suoi effetti, ma la natura non può vivere senza l’ausilio della Grazia. Questo legame tra la Città-Katekhon con il mondo divino deve manifestarsi attraverso una figura simbolica. Effettivamente, anche se al nostro disincanto conformista ripugna ammetterlo, è necessaria una figura simbolica. 7

Questo forza tutelare e protettrice, questa saggezza ispiratrice, che gli Ateniesi rappresentavano come Pallade-Atena, scolpita da Phidia e collocata sull’Acropoli, era Athena Parthenos (Athena-Vergine)8, manifestazione della Saggezza protettrice della Città razionalmente ordinata. Si ritrova, evidentemente, questa idea, questo pensiero mitico, questo archetipo, questa realtà superiore – che lo si chiami come si vuole, questo non conta ai fini dei nostri propositi odierni – nel culto cristiano della santa Saggezza protettrice della città, che prenderà numerosi tratti in prestito dal culto di Atena e che lo arricchirà di tutto quello che è detto nella Bibbia sulla Saggezza Divina (notoriamente nel Libro dei proverbi, nel Libro della Saggezza e nell’Ecclesiaste, questi due ultimi redatti in greco e assenti dal codice ebreo).

Ho parlato prima della necessità di un simbolo figurativo. In effetti le riflessioni che vi ho presentato hanno la loro fonte principale in un'immagine della quale è tempo ormai di parlarvi. Andiamo a Kiev. Sulla maestosa riva alta del Dniepr si erge la cattedrale di Santa Sophia (XI sec.) All’interno, su uno dei pennacchi dell’abside principale, su fondo oro, la Santa Saggezza è rappresentata con i tratti della Vergine detta “orante” ovverosia in piedi, senza il Bambino, le palme delle mani aperte e rivolte verso il visitatore. La sua posa, i tratti del suo viso, le sue proporzioni hanno qualcosa di arcaico e di commovente. Ai suoi piedi si legge in greco l’iscrizione tratta dal salmo 45/46: “Dio è in mezzo a lei; ella non sarà distrutta; Dio viene in suo soccorso già a metà mattino.” “Lei”, nel salmo “è la Città di Dio, il Santuario dove dimora l’Altissimo (v. 5-6). L’idea è dunque chiara per chiunque faccia lo sforzo di alzare gli occhi e di leggere: si ha qui, potentemente manifestata, l'analogia tra la saggezza (il tempio è dedicato a Santa Sophia), la Vergine (l’Orante) e la Città (le parole del salmo).

Se il modello della Chiesa consacrata alla saggezza deriva da Bisanzio (nel 537 l’imperatore Giustiniano aveva inaugurato la basilica che, ai suoi occhi, lo rendeva superiore a Salomone), bisogna avere presente alla mente che Santa Sophia di Costantinopoli aveva la sua dedicazione il giorno di Natale e che essa era il tempio della Saggezza increata dal Figlio. Nel corso del mezzo millennio che è trascorso successivamente, tutta un’evoluzione si è compiuta, com’è ben noto, nella Russia di Kiev, dove tutte le chiese consacrate alla Saggezza hanno la loro dedicazione in una festa Mariana: Nascita della Vergine (8 settembre) a Kiev, Dormizione a Novgorod, etc. (Nella liturgia Orientale così come in quella Occidentale, i versetti sapienziali si riferiscono alle feste Mariane e non a quelle indicanti gli avvenimenti della vita del Cristo.)

E' nel corso del VI e VII secoli che gli inni bizantini fanno della Vergine la manifestazione di quello che simboleggiava Pallade-Atena armata di lancia: l’acatisto greco così come le litanie latine l’associano ai motivi della casa, del tempio, del pilastro, della protezione contro gli elementi caotici: sedes sapientiae, turris davidica, domus aurea, auxilium chiristianorum.

Chiusa in sé stessa e organizzata attorno alle sue chiese, separata da solide mura dalla steppa dove si aggirano le orde barbariche (manifestazione dell’anomia sanguinaria), sede della giustizia del principe (cos’è il diritto, in effetti, se non la saggezza resa evidente?), centro di fede e di scienza, la città di Kiev offriva alla nazione russa l’imagine archetipica di una casa edificata in cerchi concentrici attorno alla Virgo Potens, alla Vergine protettrice che, come Mosè contro gli Amaleciti, concede la vittoria perché non abbassa mai le braccia: Maria al centro del Santuario, il Santuario al centro della Città, la Città al centro del Paese.

Questo è, in modo figurato, la Città che, concepita per opporsi realmente all’anomia, può giocare il ruolo di katekhon.

A noi applicare quest’analogia al nostro mondo, un mondo nel quale numerose difese sono state minate, all’immagine dei muri coperti dai sofismi della pubblicità quando non sono gli slogan destinati a povere masse condannate all’anomia, ovverosia all’assenza di grammatica (povere masse illetterate?, ndr), di giustizia e di regole elementari. A noi riflettere sulla forme che prende l’anomia nei nostri giorni, notoriamente con lo sviluppo di tutti i generi di tecniche9; anomia che non è inutile associare ad un personaggio concreto: l’anomos di San Paolo così come è senza dubbio fecondo vedere una figura reale nella Vergine/Saggezza che protegge la nostra Città.

Ognuno di noi è ugualmente chiamato ad opporsi all’Iniquo e a giocare un ruolo catecontico (era l’opinione di sant’Agostino), lottando contro l’iniquità nel suo cuore e contro l’anomia nel suo spirito e nei suoi atti. Così contribuisce a ritardare la venuta dell’Anticristo nel nostro mondo, mantenendo l’efficacia della Grazia nella Città e nella politica. Gratia, in effetti, naturam supponit, la Grazia non può agire se le condizioni dell’esitenza della natura umana – in particolare la civilizzazione e la Città – non sono mantenute vive..

Per concludere evocherei ancora un esempio russo. Nel suo Corto racconto sull’Anticristo,10 Vladimir Soloviev ci mostra il piccolo numero di Giusti ritiratisi in esilio nel deserto di Giudea dopo la presa di potere dell’Anticristo. Diretti dai capi legittimi delle Chiese infine riunificate (il papa Pietro II, lo “starets” Giovanni e il professore luterano Pauli), attendono il secondo avvento del Cristo. Ora niente vieta di pensare che questi tre capi possano rappresentare allegoricamente il germe preservato della natura umana capax Dei, poiché nelle loro tre persone rispettive si trovano Roma, la regola ascetica e la Scuola, ovvero la civilizazione (o la civiltà?), la Città / Sophia che è rappresentata con differenti forme e che, proprio perché è presente, permette alla Grazia di produrre ancora i suoi effetti. Senza dubbio questa Città / Sophia può ancora essere ridotta, come lo pensavano i Padri della Chiesa, al solo nome di Roma. Roma, anagramma della parola Amor che, con riferimento alla Città, per analogia rimanda all’ “amor che move il sole e l’altre stelle.” 11

1

 Corrente di pensiero che sarà in seguito qualificata come “eresia escatologica”.

2 Apologetica, cap. 32. Tertulliano scrive all’imperatore Settimio Severo “Abbiamo un altro motivo, ancora più pressante, per pregare per gli imperatori, anzi per la prosperità dell’intero Impero e per la potenza romana: sappiamo infatti che la terribile catastrofe sospesa sull’intera terra e che la fine di tutti i tempi, che ci minaccia di terribili calamità, non sono ritardati che dalla tregua concesa all’Impero romano. Non ci teniamo a farne l’esperienza e, pregando perché sia differita [la caduta dell’impero, ndr], contribuiamo alla lunga durata dell’Impero romano.”

3 Trattato sull’Anticristo

4 Epistola 121 Ad Algasiam

5 Quarta omelia sulla seconda lettera ai Tessalonicesi.

6 Trattandosi di turbe mentali che colpivano alcuni lavoratori africani emigrati in Europa, è stato provato che queste ultime era preesistenti - allo stato latente - nei soggetti esaminati già prima del loro inserimento in un altro quadro sociale, ma che erano contenuti dal contesto comunitario della vita africana. Al contrario, i sintomi nevrotici si erano esasperati in un ambiente di vacuità culturale. Si veda Raoul Girardet, Mythes et mythologies politiques, Seuil, 1960, pp. 187-188.

7 Anche i rivoluzionari hanno sentito questo bisogno e hanno dato concretezza alla Repubblica sotto forma di innumerevoli statue e busti, che ancora oggi popolano le nostre piazze e i nostri comuni. Ma le Repubbliche così rappresentate sono essenzialmente allegoriche e la pallida Marianna non ha né essenza né storia. Sono figure troppo astratte per essere veramente ispiratrici, anche se non bisogna sottovalutare il loro messaggio latente.

8 L’analogia tra la Città e la verginità è profonda. Sono le Vestali che assicurano spiritualmente la protezione della città, e impadronirsi della cintura difensiva, delle sue mura, che sono anche corona di castità, equivale, come lo si considererà nel Medio Evo, a sverginizzare una città.

9 Jacques Elul ha dimostrato chiaramente che il chaos che si espande nella società procede di pari passo con il dominio della tecnica e che la tecnocrazia è sinomimo di anarchia.

10 In Les Trois entretiens sur la guerre, la morale et la religion, Genève, Ad Solem, 2005.

11 “L’amore che move il sole e le altre stelle” è come è ben noto, la chiusa delle cantiche della Divina Commedia di Dante.



Pubblicazione del: 20-03-2009
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